Una forma d’arte o di espressione non può fermarsi, o si riduce inevitabilmente a maniera. Anche considerando che deve necessariamente incontrare un pubblico. Quando queste tendenze si applicano al fumetto Disney, il confronto diventa interessante e foriero di nuove idee e possibilità.

Lavorare come autore, che sia di un fumetto, di un film, di un romanzo o di una serie TV, significa prima di tutto imparare una serie di regole, sia produttive ed economiche che artistiche e creative. Spesso, invece, la vulgata su questo tipo di lavoro prevede un “artista” che “crea”, senza limiti o costrizioni, senza regole né, addirittura, un ragionamento a freddo sulla forma stessa. Insomma, siamo ancora prigionieri dell’idea “romantica” – in senso letterario – dell’artista come qualcuno che “trova ispirazione” e poi “crea”, rapidamente, senza ragionarci su, senza riscrivere. Anzi: qualunque cedimento all’uso della razionalità e delle regole, in tale vulgata, vanifica la creazione, rendendola un ragionamento, che per definizione è “freddo”, senz’anima.

Chi scrive per mestiere sa benissimo che questa vulgata è profondamente errata: è “romantica” perché si appoggia al mito dell’artista romantico, che va a ispirarsi nella Natura e nel Sublime, e poi scrive. Tale mito tralascia però una semplice, prosaica verità: che anche l’Artista Romantico – pur ispirandosi in effetti alla natura – poi andava a casa e si metteva a scrivere e riscrivere per ore. Scrivendo a caldo, certo, ma anche ragionando a freddo sulle strutture che stava usando, in un perenne adattamento del labor limae di Orazio. Insomma: si scrive, ma soprattutto si riscrive. Non si attende l’ispirazione, ma si trova il modo di farla arrivare. A volte ci si costringe a scrivere, per arrivare a quella libertà, a quell’abbandono alla creatività, che è parte prima e fondamentale del processo creativo stesso. E si seguono delle regole, che impariamo e interiorizziamo finché non diventano nostre. Una tecnica che non solo non svilisce né blocca la creatività, ma anzi, la esalta.

È così anche nella scrittura del fumetto Disney. Lavoro a Topolino, prima con la Disney Italia e ora con Panini Comics, da diciassette anni, e ho scritto oltre duecento storie (non molte, per gli standard dei veri, grandi autori). Ma posso dire con sicurezza che almeno una trentina, se non una quarantina, di queste storie, mi sono servite solamente a imparare le regole del mestiere: del lavoro col fumetto, della narrazione tra parole e immagini e soprattutto dell’uso dei personaggi Disney, sfaccettati, famosissimi e universali, incredibilmente chiari nella loro caratterizzazione ma sempre apribili a nuovi arricchimenti. Classici, perché non hanno mai finito di dire quello che hanno da dire, come diceva Italo Calvino.

Ma quando tali regole si imparano, si interiorizzano, è solo allora che si può davvero osare e fare qualcosa di nuovo. Lo scorso anno Alex Bertani, il direttore di Topolino, e il mio ormai decennale editor, il caporedattore Davide Catenacci, mi hanno chiesto di lavorare a un ciclo di storie sul “mondo nerd”, per mancanza di un termine migliore: sulla passione di ragazzi (e non solo: anch’io mi considero felicemente nerd) – per la cultura pop, dal cinema supereroistico ai fumetti, dal collezionismo di action figure fino ai cosplayer (ragazze e ragazzi che creano costumi elaboratissimi per impersonare personaggi del cinema, dei fumetti americani, dei manga giapponesi e dei videogiochi (costume player = cosplayer). Alex e Davide l’hanno chiesto a me, perché, appunto, sono appassionato di questo tipo di cultura, anzi: è la mia cultura. L’idea era di allargare il mondo di Qui, Quo e Qua, i nipotini di Paperino, creando dei loro nuovi amici “nerd”: Qua si appassiona ai fumetti e al cinema, viene ostracizzato dal resto della classe (e anche un po’ dai suoi fratelli!), ma conosce un nuovo gruppo, con cui apre l’Area 15 (il titolo della serie): uno spazio dedicato alla cultura pop e alle passioni sue e del gruppo, tra fumetti, cinema, cosplaying e collezionismo. Il ciclo di storie, uscito tra marzo e aprile di quest’anno, mi ha permesso di introdurre (o meglio: riaffermare) qualche novità nel mondo Disney, seguendone le regole, ma allo stesso tempo aprendolo al linguaggio contemporaneo e giovanile. Il tutto grazie all’apporto fondamentale di Alex e Davide e del disegnatore di tutte queste storie, Claudio Sciarrone, il cui stile incredibilmente moderno, influenzato dal videogame, dall’illustrazione e dal meglio del cinema e del fumetto mondiale, si è dimostrato ancora una volta tra i più innovativi del fumetto disneyano.

Un fumetto è sempre un lavoro d’équipe: senza bravi direttori, editor e disegnatori, uno sceneggiatore non va da nessuna parte. Ringrazio quindi Alex, Davide e Claudio, i co-creatori di questa storia.

Ma quali sono queste novità? Forma e contenuto sono irrimediabilmente collegati, per cui ogni novità di storia è anche una novità di linguaggio. A cominciare dall’introduzione dei personaggi “nerd”: Vanessa, Giggs e Ray. Quest’ultimo è per me particolarmente importante, perché si tratta di un giovane papero dell’età di Qua – il protagonista di Area 15 – che è anche disabile. Ma la cosa importante è che la sua disabilità non è il centro della storia: anzi, il motivo di tale disabilità non viene e non verrà mai spiegato. Ray non è quello che è perché è su una sedia a rotelle: è quello che è e basta. La disabilità non lo definisce né gli attribuisce uno stigma: c’è, ma non è così importante. Il che è, a mio parere, il modo in cui andrebbe affrontata qualunque rappresentazione della “diversità” (uso le virgolette, naturalmente): c’è, ma non è così importante. Non definisce un personaggio, non lo imprigiona in una macchietta da prendere in giro ma neanche lo santifica in un’agiografia consolatoria. Per il fumetto Disney, tale rappresentazione è nuova e anche potenzialmente rischiosa: le guideline Disney a tal proposito hanno sempre imposto di evitare rappresentazioni di malattie e simili. Ma l’approccio è nuovo, perché non nasconde la “malattia” (sempre con largo uso delle virgolette), ma anzi, ne fa (giustamente) una parte normale del personaggio e del suo mondo.

A questo tipo di innovazione ho accompagnato anche un lavoro sulla forma. Il fumetto Disney è altamente codificato, nella forma e nel contenuto: un immenso lavoro collettivo, nato dal lavoro decennale di centinaia di eccezionali sceneggiatori, disegnatori, coloristi, inchiostratori, letteristi, editor, direttori di testata. Una forma che sembra restare uguale a sé stessa negli anni, per accogliere un pubblico “nostalgico” che ama ritrovare “il Topolino di quand’ero piccolo”, ma che allo stesso tempo deve rinnovarsi, evolversi, per non rinchiudersi in una sterile maniera espressiva. Il tutto, poi, restando fedeli ai personaggi e alle loro caratterizzazioni. La cultura di massa, del resto, non vuole il nuovo, ma neanche il vecchio. Il nuovo non viene compreso da un pubblico che vuole ritrovare i suoi punti fermi, che torna ai personaggi che ama perché sono sempre gli stessi. Il vecchio, del resto, non piace a un pubblico che vuole sì, il passato, ma non proprio quel passato. Insomma: la cultura di massa vuole il moderatamente nuovo. Si cambia, si innova, ma in una cornice tradizionale. Di nuovo: si trova qualcosa di nuovo solo dopo aver compreso appieno le regole.

In una delle storie del ciclo di Area 15, “Buona Fortuna, Qua”, ho cercato di fare proprio questo. La storia, di 18 pagine – o tavole, come diciamo noi fumettisti – ha una particolarità: nelle prime otto tavole, non c’è dialogo. Ora, il fumetto vive grazie alla fusione di parole e immagini, che insieme danno un effetto espressivo e narrativo diverso dalla semplice immagine o dal semplice testo. Il fumetto, citando Scott McCloud e il suo fondamentale saggio a fumetti sul fumetto, Understanding Comics, è una “giustapposizione di parole e immagini in una deliberata sequenza”. L’effetto nasce dalle due cose, unite. È però possibile scrivere fumetti “muti”: senza dialoghi, portati dal solo lavoro sulle immagini. Un lavoro più difficile, per uno sceneggiatore e per il disegnatore, ma anche molto appagante: si racconta tutto senza la stampella del dialogo, e bisogna trovare stratagemmi e idee diverse. La storia del fumetto è ricca di tali esempi, dal Silent Interlude di Larry Hama e Steve Leialoha in G.I.JOE 21, alle sequenze senza parole di manga fondamentali come Akira, di Katsuhiro Otomo, o L’Uomo che Cammina, di Jiro Taniguchi. Nel mio piccolo, avevo già scritto una storia natalizia senza dialoghi, se non nell’ultimissima vignetta: Zio Paperone: in Notte Silenziosa, disegnata magistralmente da Enrico Faccini.

Ma perché in questa storia – o meglio, in parte di essa – non ci sono dialoghi? Piccola rivelazione: la prima stesura della storia aveva dialoghi in tutte le tavole, che avevo già scritto. E che trovavo terribili. Cosa c’era di nuovo, rispetto alla solita storia Disney? Nulla. Questa storia, invece, racconta qualcosa di diverso. Qua affronta una cotta adolescenziale per Vanessa, la sua compagna di scuola e dell’Area 15: ma anche il fratello Qui ha una cotta per lei, e lui teme di farlo soffrire. Allo stesso tempo, si chiede se Vanessa ricambi i suoi sentimenti. Qua, angustiato, cerca allora di spiegare tutto a Paperino, suo zio. Che però è di guardia al Deposito di Zio Paperone, assente per affari, e deve districarsi tra attacchi esagerati e comici della Banda Bassotti, della strega Amelia, del rivale in affari Rockerduck. Quindi non ha il tempo di ascoltare le ansie del nipote, che vorrebbe aprire il suo cuore allo zio e ha bisogno di un consiglio, ma non riesce a rivelarsi.

Insomma: è una storia su quanto sia difficile comunicare davvero.

Su quanto sia faticoso andare oltre le barriere del linguaggio stereotipato, finto, inutile della maggior parte delle nostre comunicazioni quotidiane, e DIRE qualcosa di importante, doloroso, vero. Per questo ho deciso che tutta la prima parte della storia sarebbe stata senza dialoghi. Perché in tutta quella prima parte non si comunica davvero, nessuno dice cosa prova.

Quando però Qua finalmente sbotta, e Paperino capisce che ha bisogno di sfogarsi, le cose cambiano. In quel momento il dialogo si ripresenta, ma in una tavola con una griglia (o gabbia: e cioè la scansione delle vignette nella tavola) diversa dal solito. Invece delle classiche sei vignette della gabbia Disney (e Bonelli, da Tex a Dylan Dog), qui ne abbiamo nove:

Una gabbia anche qui non nuova, usata magistralmente nella fondamentale miniserie Watchmen di A.Moore e D.Gibbons e ripresa di recente dallo sceneggiatore americano Tom King in un’altra ottima miniserie, Mister Miracle, per i disegni di M.Gerads. Una scansione che, per le sue dimensioni. costringe a diluire in tanti mini-momenti l’azione e a concentrarsi sui primi piani, con poco dialogo. Un modo per rallentare il tempo della storia e concentrarlo sull’introspezione dei personaggi.

Infatti, da questo momento la storia diventa una confessione: Qua racconta il suo amore per Vanessa, tra fantasie trionfali e paura del rifiuto. Anche qui le vignette diventano altro: disegni quasi infantili di Qua, a raffigurare le sue fantasie impossibili.

Qua chiede aiuto a Paperino… che però, per quasi tutta una tavola, non parla. Anche qui c’è una rottura rispetto alla tradizione disneyana, fatta di tavole piene di balloon di dialogo e storie che, nella migliore tradizione della narrazione occidentale, corrono da un inizio a una fine, senza pause, senza esitazioni, al contrario dei silenzi e delle dilatazioni narrative della tradizione orientale, anche in generi come il fantasy dei film di Hayao Miyazaki – e proprio per questo meravigliosi.

Ma quando Paperino finalmente parla, dice che una soluzione non c’é.

Che la vita è difficile e piena di disastri (e lui, campione di sfortune, lo sa bene). Ma proprio tali disastri ci rendono più forti: anzi, migliori. E paragona le nostre vite al Deposito, dove si svolge questa conversazione: un blocco di cemento che ha sopportato infiniti attacchi, distruzioni, trasformazioni… ma che regge ancora, pieno di crepe e ferite, ma vivo, inattaccabile. E i nostri cuori sono ben più forti di un semplice Deposito: possono reggere tempeste ben più grandi.

Questa storia è uscita ad aprile, in pieno lockdown, e questa tavola è stata condivisa molte volte sui social. Io, naturalmente, l’avevo scritta vari mesi prima (i tempi di produzione di una storia Disney sono molto lunghi, con un minimo di tre mesi: solo il disegnatore produce, in media, una tavola al giorno), senza sapere dell’arrivo del Covid-19 e dello sconvolgimento economico, sociale e psicologico che ha portato nelle nostre vite. Ho cercato semplicemente di essere universale: di raccontare qualcosa che toccasse tutti noi. Alla fine Qua, rinfrancato, torna a casa, mentre Paperino chatta con Paperina – e le sue didascalie riprendono i messaggi di Whatsapp – per rassicurare anche lei: crescere è un’avventura difficile, ma Qua ce la farà.

Concludendo, in questa storia ho voluto esprimere e raccontare il linguaggio giovanile e adolescenziale a più livelli. Nel contenuto, si parla di introspezione e di confessione in modi più realistici, rispetto al consueto fumetto Disney; un lavoro che su Netflix serie come SKAM Italia stanno facendo ad alto livello, raccontando storie credibili di adolescenti di oggi con un’idea di storytelling, molto contemporanea, dalla sceneggiatura alla regia e alla fotografia.

La forma si accompagna al contenuto, osando nella costruzione della tavola, nel rapporto tra immagine e testo, nei colori digitali (più caldi e moderni) e nell’uso delle didascalie, a raccontare un mondo Disney più vicino al mondo reale, meno imprigionato in una maniera espressiva di quanto certi lettori vorrebbero, ma più vivo e felicemente contaminato dalla realtà: e come tale, più rilevante. Ma sempre universale.

Per tutte le immagini: copyright Disney/Panini Comics

Si ringraziano Alex Bertani, Davide Catenacci e Claudio Sciarrone

BIBLIOGRAFIA

Scott McCloud, Understanding Comics (1993) in Capire, Fare e Reinventare il Fumetto, Bao Publishing

Larry Hama e Steve Leialoha, Silent Interlude, in G.I.JOE 21 (1984), Marvel Comics (USA);

Katsuhiro Otomo, Akira (1982-90), Planet Manga

Jiro Taniguchi, L’Uomo che Cammina (1990-91), Planet Manga

Roberto Gagnor e Enrico Faccini, Zio Paperone in: Notte Silenziosa, in Topolino 2874 (2010), Walt Disney Italia

A.Moore e D.Gibbons, Watchmen (1986-87), RW/Lion Comics

Tom King e Mitch Gerads, Mister Miracle (2018), RW/Lion Comics

“Buona fortuna, Qua!” il rapporto tra parole e immagini e il linguaggio giovanile nel fumetto Disney di oggi – di Roberto Gagnor

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2 pensieri riguardo ““Buona fortuna, Qua!” il rapporto tra parole e immagini e il linguaggio giovanile nel fumetto Disney di oggi – di Roberto Gagnor

  1. Complimenti per il bell’articolo. Non sono un assiduo lettore di Topolino, ma da modesto autore di romanzi quale sono mi sento di sottoscrivere ogni virgola dei primi due paragrafi. È poi affascinante come anche nel fumetto (forma d’espressione per nulla inferiore ad altre) ci sia tanto spazio per fare arte, e non solo mero intrattenimento, e come questo aspetto artistico spesso emerga più dal “togliere” che dal “mettere”. Complimenti di nuovo.

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