Il quotidiano, cioè quello che accade normalmente, proprio perché tale, non fa né freddo né caldo. Non stupisce, non sorprende e quindi passa quasi inosservato. Ma quando succede qualcosa di anomalo, bello o brutto che sia, ecco che di colpo si risveglia l’interesse di molti. È ovvio che sia così. Meno ovvio è che spesso per scuotere molti dal torpore ci sia bisogno di momenti forti, immagini choc, fatti altamente emotivi. Per “sentire” gioia o dolore, felicità o disperazione, soprattutto se riguardano gli altri, pare serva il colpo di scena.

Personalmente invece, forse per l’esperienza che vivo da sempre, la cosa che apprezzo e godo di più di ciò che mi accade è l’eccezionalità del quotidiano. Così non mi sono ancora abituata e assaporo sempre con gioia, per esempio, l’uscire di casa da sola, sulla mia sedia a rotelle elettronica, andare a prendere un caffè, il giornale o a lavorare. Fare, insomma, tutto quello che per tutti è tran tran.

Una volta, nei miei primi anni di impegno a Trento in favore dell’integrazione dei disabili nella società (1987), un giornalista mi chiese qual era il mio sogno per Trento. Risposi che era quello di poter fare la coda in banca o alla fermata dell’autobus. Mi guardò perplesso pensando che forse il mio handicap non era solo fisico… Io colsi quell’espressione e gli spiegai che poter fare la fila laddove la fanno tutti avrebbe significato che le persone con disabilità potevano accedere a quei servizi e a quelle opportunità a quel tempo non permesse (e anche tutt’ora in diversi casi).

Sono passati trentacinque anni da quell’intervista, ho fondato un’altra cooperativa e continuo a credere ed impegnarmi per l’integrazione delle persone con disabilità.

In tutto questo tempo ho vissuto fatti e situazioni personali non sempre facili da affrontare, qualche vittoria, molte sconfitte, ma ancora credo che cambiare le cose sia possibile.

Un esempio: dal novembre 2000 posso salire su un autobus che mi porta da Baselga di Pinè a Trento e viceversa. Per la maggioranza questo fa parte del quotidiano di cui parlavo all’inizio, per me la fila in banca e alla fermata dell’autobus sono realtà conquistate che apprezzo tanto.

Non è importante che questo succeda a me, l’importante è che succeda. Che diventi normale per i disabili viaggiare con gli altri e per “gli altri” viaggiare con i disabili, incontrarli e muoversi, tutti assieme. Dà ad ognuno un’esperienza quasi sconosciuta e arricchente.

Certo, la persona con disabilità avrà sempre difficoltà e problemi, dovuti alla patologia di cui è colpito e la sua diversità non sparirà con il biglietto dell’azienda di trasporto pubblico in tasca, ma le relazioni e la crescita cui questa convivenza porta, fanno bene a tutti.

L’eccezionalità del quotidiano – di Graziella Anesi

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Un pensiero riguardo “L’eccezionalità del quotidiano – di Graziella Anesi

  1. Hai ragione! Da molti le tue vittorie non vengono capite, ma noi ti auguriamo di continuare a lottare affinché non ci sia più chi deve rinunciare a fare o a vedere perché non glielo permettono… chi ha le comodità non sempre comprende chi non può permettersele… se per comodità è prendere l’autobus o fare la coda …Brava Graziella combatti per tutti e buon Natale!

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