Qualche osservazione sulla violenza di genere nelle trame fiabesche e sulle fiabe della tradizione popolare, poco presenti nell’immaginario, con figure femminili risolute e intraprendenti, in grado di salvarsi da sole.

Il principe, accortosi di com’era bella, fu preso da un desiderio malvagio e con furia le intimò di aprire la porta. Lei però non volle. Allora lui, nella sua brama selvaggia, sfondò la porta, penetrò nella casa e le usò violenza.[1]

Violenza, crudeltà, elementi orrorifici e grotteschi sono ben presenti nella fiaba, che reca in sé, come ci insegna Propp[2], anche echi degli efferati riti iniziatici. Quella di genere è dunque solo uno dei modi in cui la violenza risulta declinata all’interno del genere fiabesco; del resto, di esempi di fanciulle violate o comunque vittime di prevaricazione maschile sono ricchi anche il mito e la novella, che alla fiaba spesso forniscono motivi, situazioni, metafore. Straparola nelle Piacevoli notti[3] (notte II, favola I) racconta, per esempio, di un principe nato con un corpo di maiale che uccide le prime due spose e rivela le sue fattezze umane grazie a una fanciulla semplice e buona che accetta i suoi modi animaleschi: la responsabilità della metamorfosi è delegata insomma a giovani donne che, afferma Zipes, «sono obbligate a dimostrare di essere disposte a soffrire per le maniere rozze e violente del maschio. Altrimenti saranno, e sono, uccise».[4]

Le eroine delle fiabe subiscono spesso imposizioni, punizioni, segregazioni imposte a salvaguardia della loro sicurezza (leggasi: della loro illibatezza), persino in qualche caso stupri, come nel testo da cui è tratta la citazione in esergo. «Delle vite femminili si dispone, e sui loro corpi si esercita ogni genere di arnesi», nota Bianca Lazzaro, aggiungendo: «C’è un topos secolare che attiene all’uccisione delle mogli per collaudare un arnese presunto magico in grado di farle resuscitare. […] Così come altrettanto ovvio è doverle “scannare” per il sospetto generato anche solo da un semplice sbadiglio»[5]. Ma non è detto – lo vedremo – che le fanciulle variamente vessate restino tutte passive, in attesa del salvatore: ci sono, sommerse, molte storie di riscatto al femminile. Nella fiaba citata, compresa tra quelle siciliane raccolte da Laura Gonzenbach, la fanciulla violata ha la prontezza di chiamare a testimone una serpe, che la aiuterà poi a ottenere dal principe le nozze riparatrici.[6]

1. Copertina dell’albo Barba-blu di Chiara Carrer, Roma, Donzelli, 2007

La violenza perpetrata da uomini nei confronti di donne, nell’immaginario collettivo, sembra oggi circoscritta, per le fiabe, quasi esclusivamente a Barbablù, a Cappuccetto rosso e, in misura minore, alla cornice delle Mille e una notte, in cui, com’è noto, l’ingegnosa Shahrazād, grazie al fascino delle sue storie, riesce a placare la fredda furia vendicativa del re persiano Shahriyār, che in seguito al tradimento della moglie (messa a morte) sposa ogni sera una nuova giovane, per farla poi uccidere all’alba. È una donna, dunque, in questo caso a interrompere la strage di fanciulle innocenti, la lunga catena di femminicidi, diremmo oggi. 

Nelle versioni di Barbablù di Perrault e dei Grimm la protagonista è tratta in salvo dai fratelli, la Cappuccetto rosso dei Grimm dal cacciatore, mentre in Le Petit Chaperon Rouge non c’è lieto fine. In molte versioni popolari francesi – che lasciano affiorare motivi legati a percorsi di maturazione femminile – invece la bambina con un po’ di astuzia (finge di dover far pipì) riesce a sfuggire al lupo.[7]

Soffermiamoci su Barbablù, fortemente sedimentata nell’immaginario collettivo adulto (sempre meno, invece, in quello infantile), probabilmente anche in virtù delle numerose riscritture e riprese in ambito letterario (dalla celebre Camera di sangue di Angela Carter al Barbablù di Amélie Nothomb, originale attualizzazione), cinematografico e non solo[8]. Una piccola curiosità a margine: capostipite dei film d’animazione in plastilina pare sia proprio il cortometraggio Barbe-Bleue realizzato nel 1938 da Jean Painlevé.

Perrault conclude il testo con due moralités: la seconda confina la vicenda in un «buon tempo andato» («Oggi non trovi più nessun marito, / per quanto iroso, scontento e poco amato, / che dalla moglie non sia più che ammansito. / Che abbia la barba gialla, blu o marrone, / non si capisce più chi sia il padrone»); la prima – rimarcando l’intenzione educativa del racconto – condanna «il difetto vile», molla dell’atto di disubbidienza: «è la curiosità come un miraggio / che sul sesso gentile ha gran potere»[9]. In tal modo, però, di fatto, sposta la responsabilità sulla vittima, novella Pandora, incapace di tenere a freno la curiosità.

Per quanto riguarda i Grimm, si fa qui riferimento alla prima edizione delle Fiabe del focolare (1812-1815), in cui, come evidenzia la traduttrice Camilla Miglio: «Le fiabe più conosciute ci stupiranno con elementi andati perduti nelle edizioni successive, nascosti, trasformati dai Grimm, che da raccoglitori ben presto si fecero autori. […] Che dire di una Raperonzolo incinta che confessa candidamente di essersela spassata col principe? […] O di altre giovani donne quasi bambine, che riescono a proteggersi, salvarsi, vendicarsi, dopo aver subito violenze e soprusi da padri, padroni, mariti?».[10]

Nella raccolta, oltre a Barbablù, troviamo due testi piuttosto macabri (Il fidanzato bandito e Il castello della morte), le cui protagoniste riescono a fuggire dalla dimora del truce individuo intenzionato a ucciderle grazie alla complicità di una vecchietta (niente intervento maschile, dunque). Nella fiaba L’uccello di Fitcher, l’eroina, invece, si salva da sola. Il personaggio maschile, uno stregone stavolta, prima di assentarsi per degli affari, affida alla prima sorella un uovo che dovrà portare sempre con sé e le consegna la chiave della stanza proibita. Infranto il divieto, la fanciulla scopre una grande vasca che contiene i corpi a pezzi di persone uccise. Per il terrore, l’uovo le scivola nella vasca. Tutti vani i tentativi di eliminare le macchie di sangue dal guscio e così la poveretta, al rientro di Fitcher, viene uccisa e gettata nella vasca. Tutto si ripete con la seconda sorella. La terza, invece, intelligente e astuta, ripone l’uovo prima di entrare nella camera segreta. Senza lasciarsi vincere dalla paura, ricompone le membra delle sorelle, riportandole in vita, e poi, con un abile stratagemma, fa sì che lo stregone, inconsapevolmente, le riconduca a casa. Infine, grazie a un travestimento realizzato con miele e piume, prende le sembianze di un bizzarro volatile – a lei si riferisce il titolo – e riesce a scappare proprio nel giorno in cui sono fissate le nozze. Lo stregone, invece, perirà insieme agli invitati al matrimonio in un incendio appiccato dai rinforzi inviati dalle sorelle.

2. Barbablù consegna il mazzo di chiavi a sua moglie Primula, illustrazione di Gustave Doré (1862)

Questa variante, a cui si è ispirata probabilmente Chiara Carrer per l’intenso albo Barba-blu[11], è riconducibile a una versione orale piuttosto diffusa in Europa, in cui tre sorelle, una dopo l’altra, infrangono la proibizione, ma si salvano tutte grazie agli ingegnosi sotterfugi dell’ultima. La stessa trama torna in una delle Fiabe italiane, Il naso d’argento, nella quale Calvino riprende un racconto delle Langhe, integrandolo con una versione bolognese e una veneziana: «Barbablù in Piemonte è Naso d’argento; le sue vittime non sono le mogli ma ragazze che vanno a servire, e la vicenda non si modella sulle cronache di crudeli arbitrȋ feudali come in Perrault ma sulle leggende teologiche medievali: Barbablù è il diavolo, e la stanza delle donne trucidate è l’Inferno».[12]

La protagonista di Naso d’argento non è un’eccezione: il repertorio della fiaba popolare è ricco di figure femminili scaltre, risolute e accese di coraggio. Ne offre una preziosa galleria la recente raccolta Fiabe ribelli. Le più belle fiabe italiane delle ragazze in gamba. Nell’Introduzione, significativamente intitolata In barba al blu, la curatrice, Bianca Lazzaro, spiega che i testi raccolti dispiegano, nella loro originalità, il proprio «potenziale sovversivo» e possono dirsi tre volte ribelli: lo sono «le loro eroine volitive; lo sono altrettanto le spigliate narratrici orali, per l’appunto quasi tutte donne, che per secoli ne hanno tramandato le storie, declinandole in tutte le parlate e i dialetti dello stivale; e lo sono le trame, per la loro capacità di mettere in discussione un paradigma, o per meglio dire uno stereotipo che grava sul genere fiabesco».[13]

L’affermazione di testi più rispondenti ai valori di una società patriarcale, con protagoniste miti, remissive e obbedienti e in cui il “catalogo dei destini” femminili risulta piuttosto povero, – complice poi anche il successo delle principesse disneyane – ha determinato infatti una forte avversione per le fiabe, accusate in blocco di essere discriminatorie e misogine, e ha portato a rivisitazioni intese a capovolgerne la logica sessista. Le cinque mogli di Barbabrizzolata di Adela Turin, pubblicato nel 1976 dalla casa editrice Dalla parte delle bambine, per esempio, è la storia di un incontentabile maragià, che trova insopportabili le sue mogli, diversissime ma tutte dotate di talento[14]. Il testo sembra voler dialogare anche, ribaltandone la prospettiva, con Le sette mogli di Barbablù di Anatole France, in cui troviamo, invece, un Barbablù timido e ingenuo, infelice vittima delle mogli.

Oggi, in tempi di politicamente corretto, i rifacimenti rischiano spesso di essere diversamente convenzionali. Estremamente condivisibili le riflessioni in proposito di Nadia Terranova: «Se il dibattito sulle fiabe non fosse stato monopolizzato dalla questione del sessismo, sarebbe stimolante come è sempre stato. […] Il problema è che le riscritture sono diventate prevedibili e standardizzate, la reiterazione dell’opacità disneyana si è trasformata nel suo opposto senza passare per il bordo incerto e spericolato dell’assenza di morale: se negli ultimi decenni l’eroina si sposava, veniva liberata da un principe o da un cacciatore, viveva felice e contenta nella nuova famiglia, adesso è scorretta di default, si libera da sola e le importa di sé in una visione dell’emancipazione liberista e conservatrice almeno quanto quella cui crede di opporsi».[15]

Piegare la fiaba, la sua narrazione densa e profonda, il suo spessore millenario, la sua ricchezza immaginifica – pur con le migliori intenzioni – ai dettami del politically correct porta infatti a opere di scarso rilievo, destinate a fallire nell’intenzione di essere realmente emancipatorie.

3. Copertina del volume Tutte le fiabe dei Fratelli Grimm, a cura di Camilla Miglio, illustrazioni di Fabian Negrin, Roma, Donzelli, 2015

Note

[1]  La serpe che testimoniò in favore di una ragazza, in Laura Gonzenbach, Fiabe siciliane. Rilette da Vincenzo Consolo, Roma, Donzelli, 1999, p. 261.

[2]  Cfr. Vladimir Propp, Le radici storiche dei racconti di fate, Torino, Einaudi, 1949.

[3]  Gianfrancesco Straparola, Le piacevoli notti, Roma-Bari, Laterza, 1975.

[4]  Cfr. Jack Zipes, Chi ha paura dei fratelli Grimm? Le fiabe e l’arte della sovversione, Milano, Mondadori, 2006, p. 44.

[5]  Bianca Lazzaro, Introduzione a Fiabe ribelli. Le più belle fiabe italiane delle ragazze in gamba, Roma, Donzelli, 2023, p. xv.

[6]  Cfr. La serpe che testimoniò in favore di una ragazza, cit.

[7]  Cfr. Yvonne Verdier, L’ago e la spilla. Le versioni dimenticate di Cappuccetto rosso, Bologna, EDB, 2015.

[8]  Per un approfondimento rimando a Angela Articoni, La sua barba non è poi così blu. Immaginario collettivo e violenza misogina nella fiaba di Perrault, Roma, Aracne, 2014 e a Barbablù. Il mito al crocevia delle arti e delle letterature, a cura di Alessandro Cecchi, Serena Grazzin, «Arabeschi», n. 15, gennaio-giugno 2020.

[9]  Charles Perrault, Tutte le fiabe, Roma, Donzelli, 2011, p. 55.

[10]  Camilla Miglio, Introduzione a Jacob e Wilhelm Grimm, Tutte le fiabe, Roma, Donzelli, 2015, p. XIV.

[11]  Chiara Carrer, Barba-blu, Roma, Donzelli, 2007.

[12]  Italo Calvino, Note a Fiabe italiane, Milano, Mondadori, «I Meridiani», 2006, pp. 1088-1089.

[13]  Bianca Lazzaro, Introduzione, cit., p. IX.

[14]  Sulle fiabe femministe rimando a Carla Ida Salviati, Raccontare destini. La fiaba come materia prima dell’immaginario di ieri e di oggi, Trieste, EL, 2002.

[15]  Nadia Terranova, “Cenerentola è morta”: le fiabe tradizionali non esistono e le riscritture stanno diventando noiose, «La Stampa», 18 febbraio 2024.

La violenza di genere nelle fiabe. Qualche riflessione – di Mariarosa Rossitto

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