Ero una bambina vivacissima, forse inappetente, chiacchierona e un po’ viziata. Avevo meno di quattro anni, il mio eroe era Pinocchio: ogni sera, all’ora di cena, prendevo con fatica il librone rosso (che ho ancora, nella mia affollata libreria, privo solo della copertina, ma così caro!) e lo consegnavo a mia madre, oppure a zia Clelia, la paziente sorella di mamma che non aveva avuto figli e, quindi, aveva accolto me in casa sua quando stava per nascere mia sorella.

Tornando a Pinocchio e alla mia cena, era evidente che il mio era un ricatto: avrei mangiato soltanto se – contemporaneamente – qualcuno avesse letto le avventure del mio amato burattino. Sia mamma che zia Clelia cedevano al mio primo tentativo ed io cominciavo la “commedia”: il boccone, sia che si trattasse di una minestra o di polpettine o di qualsiasi altra cosa, una volta entrato in bocca e masticato lentamente, passava inesorabilmente dal lato destro al lato sinistro e poi di nuovo al lato destro, e così via, mentre la mia guancia si gonfiava come quella di un pagliaccio del circo… La lettura si prolungava, forse mamma si innervosiva, perché dopo di me c’era mio fratello e poi arrivava papà, ma a me piaceva ruminare ed ascoltare la storia di Pinocchio a cui cresceva il naso ogni volta che diceva una bugia.

Questo è l’incipit di un mio piccolo libro, Insalata mista di pranzi e ricordi, in cui ho collegato i ricordi infantili con le ricette delle ghiottonerie che mia madre, mia nonna e le mie zie preparavano per i grandi pranzi di famiglia.

Non so se fossi inappetente o furbetta, da bambina… so che diventando adulta ho sempre apprezzato il buon cibo, soprattutto quello che mi ricordava le lunghe tavolate della mia infanzia, quando a noi piccoli veniva dedicata la parte terminale del tavolo. Era una gioia per me e per i miei fratelli stare accanto ai cugini più grandi, ascoltare i loro racconti, sentirci “grandi” anche noi tre che eravamo i più piccoli.

Il mio rapporto con il cibo è stato sempre buono, non sempre sano, perché ho mangiato con una certa avidità i dolci, senza preoccuparmi mai che mi facessero ingrassare. Ora, da adulta, continuo ad apprezzarli, ma con qualche cautela, così come i formaggi che mi fanno impazzire e salire i valori del colesterolo.

Da moglie e mamma, ho cercato di offrire ai miei cari pasti sani e variati, alternando il pesce con la carne, proponendo quasi tutti i giorni – e qui si manifesta la mia origine mediterranea – della pasta asciutta, in modiche quantità, condita ora con sugo di pomodoro, ora con il pesto, ora con la bechamel, oppure mescolata ai legumi.

Ma sarebbe banale parlare di cibo relativamente solo alla propria esperienza: penso agli ingredienti colorati e profumati della cucina orientale, alle carni arrosto degli Stati Uniti, al riso cucinato in mille modi, alle banane fritte e all’asado argentino…ma penso anche allo street food cinese, agli insetti e ai serpentelli infilzati su uno spiedo, ai grilli fritti (che – dato il mio cognome – non mangerò mai, mi sembrerebbe di essere una cannibale!), ai granchietti che ancora muovono le zampine, alle bistecche di Kobe, eccetera eccetera. Dovunque sia andata, ho sempre cercato di assaggiare la cucina del posto, anche se non sono capace, ad esempio, di mangiare con le mani prendendo il cibo da una scodella comune; né posso mangiare le verdure a causa di un’intolleranza che mi affligge fin da bambina.

Ho pensato di estrapolare delle parole-chiave che hanno a che fare con il cibo che, com’è noto, interessa tutti gli esseri viventi. Se non si beve e non si mangia, si muore. Quindi Cibo è uguale a Sopravvivenza e bisogna mangiare tutti i giorni, più volte al giorno.

Ma si mangia anche per festeggiare un parente in arrivo, oppure per celebrare un matrimonio o un battesimo, oppure – come accade nei Paesi del Nord Europa – per ricordare un defunto.

Si mangia anche per il piacere di stare insieme ad altri, non a caso un proverbio antico dice che “a tavola non si invecchia” e che “se vuoi far pace con qualcuno, invitalo a pranzo”.

Secondo usi che affondano nella Magna Graecia, il cibo è anche conforto, “consolo”, quindi nella casa di un defunto gli amici e i parenti portano cibo già pronto. In tal modo la famiglia (le donne della famiglia) non ha il problema di andare a fare la spesa e cucinare.

Il Territorio è lo spazio che circonda ciascuno di noi: noi camminiamo, pedaliamo, ci incontriamo, in un luogo – o in più luoghi – ciascuno con caratteristiche diverse. Penso alle città di mare, alle spiagge, ai percorsi in salita in montagna, al clima e quindi ai prodotti che la terra ci offre: in Trentino, dove vivo, non trovo le mele annurche o le alici appena pescate, però posso mangiare frutti di bosco e carni di bestie allevate nei prati di montagna. È vero che la globalizzazione può permettermi di mangiare le alici a Trento e lo speck a Salerno, però è anche vero che ogni territorio ha una sua vocazione e che i prodotti di un luogo inducono comportamenti e creano abitudini. Non a caso oggi si parla di cibo a km 0.

A Napoli si mangia la pasta quasi tutti i giorni, a Vercelli si mangia il riso, in Trentino è pietanza abituale la polenta.

E veniamo alla Memoria:

ricordare è una necessità, come tramandare le tradizioni di generazione in generazione; le tradizioni sono le abitudini familiari, le festività religiose, i pranzi, le ricette… che devono passare da madre a figlio/a, da nonna a nipote. Oggi i grandi chef, quelli famosi che ogni giorno spadellano in televisione, sono diventati grandi perché hanno imparato a cucinare per passione, non per dovere, cominciando fin da piccoli ad aiutare mamme e nonne.

E perché i cibi che ricordiamo sono più buoni degli stessi che mangiamo oggi e che per noi hanno un altro sapore?

Perché è passato il tempo e al sapore si uniscono ricordi, nostalgie, persone, avvenimenti irripetibili. Certi sapori immediatamente richiamano alla mente tempi passati, persone care scomparse, dunque acquistano una sorta di valore aggiunto…

Ma i cibi potrebbero anche essere cattivi, se noi ad esempio li associamo a momenti brutti, a castighi subiti… penso ai bambini che vivevano in orfanotrofi, dove sicuramente avevano nostalgia di affetti. Se, da adulti, ricordano, riaffiorano sapori cattivi.

Coltura è coltivare il terreno, seminare, piantare, raccogliere, ma è anche trasformare i prodotti, conservarli: penso al grano, al pomodoro – l’oro rosso che potrebbe indurmi ad approfondimenti di vario genere come il rito della preparazione delle salse a fine estate o l’aspetto industriale-economico; penso ai dolci (pastiera = grano) che si mangiano in determinati periodi dell’anno… e qui entrano in campo le tradizioni, come il rito dell’uccisione del maiale che spesso coincide con il Carnevale (”del maiale non si butta via niente” ma dopo bisogna astenersi dal mangiare carne) e le sagre (vini/liquori, patate, formaggi, melanzane, alici), modo popolare per far conoscere e pubblicizzare uno o più prodotti.

Dunque, è necessario ricordare e tramandare, il cibo è nello stesso tempo coltura e cultura, in un tema del genere entrano la storia (le patate e i pomidoro sono arrivati in Europa dopo la scoperta dell’America), la geografia (ogni luogo ha la sua specificità… piante e prodotti agricoli sono diversi da emisfero a emisfero, da nord a sud, ecc.), l’arte (Arcimboldo, Ultima Cena, Nature morte), la letteratura (Pane del Manzoni, Timballo di maccheroni nel Gattopardo, Il pranzo di Babette), il cinema (Totò che divora gli spaghetti in piedi sulla tavola o Sordi che aggredisce un bel piatto di spaghetti), il teatro (Shakespeare, Cechov, Eduardo De Filippo con Sabato domenica e lunedì, Non ti pago, Questi fantasmi, Natale in casa Cupello, Napoli Milionaria)…

Le tradizioni nascono dal territorio (Pasqua con uova e asparagi, Carnevale con lasagne e carni di maiale, a Salerno a San Matteo si mangia la milza, a ferragosto la frittata di maccheroni, ecc).

Ma ci sono anche tradizioni familiari: alcuni amici romani a ferragosto mangiano pasta al forno e cotolette alla milanese, in casa mia a carnevale si mangiavano i bocconcini di fegato di maiale avvolti nella “rete” con una foglia di alloro, sempre nella mia famiglia, quando arrivavano i parenti da un lungo viaggio, la sera si cenava con tortellini in brodo. E nel brodo si lasciavano ammorbidire le croste del parmigiano.

Il cibo è parte della nostra vita, i pranzi sono occasioni di incontro, lo scambio di ricette è un far passare da una generazione all’altra le tradizioni culinarie. Il cibo è presente persino negli spettacoli circensi: ricordo che in un piccolo circo lo spettacolo finiva con tavola imbandita sulla pista e una grande zuppiera fumante per tutti gli artisti.

P.S. Volutamente ho escluso da questo articolo le patologie legate al cibo; potrei raccontare alcune vicende di anoressia, ma penso che sia un argomento delicato e che sia compito dei medici occuparsene.

Piccoli babà con fragole

Cena in terrazza a Maratea

Torta alla frutta

Panino con alici alla scapece

Bavarese ai tre cioccolati per un anniversario

Cibo: memoria, tradizioni, territorio, coltura, cultura – di Luciana Grillo

Navigazione articoli


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *