Ho una moglie che fa l’attrice, ed è anche una dei pochi nomi cosiddetti “di chiamata”, cioè che riescono a riempire i teatri. Quando un’attrice come lei cerca nel repertorio teatrale un ruolo da protagonista, trova relativamente poco. I titoli proposti sono sempre quelli: Medea, Antigone, la Locandiera, La Venexiana, Casa di Bambola… contro centinaia di titoli con protagonisti maschili. Facile quindi che non individui niente di adatto. Ma siccome mia moglie ha in casa uno scrittore di teatro, ha trovato una soluzione semplice: farli scrivere a me. All’inizio, ho fatto una gran fatica, ma poi ci ho preso gusto, e credo di essere oggi il drammaturgo italiano che ha scritto di più per le donne. Mi sono talmente calato nella parte, che ho anche scritto un romanzo intero in prima persona femminile. E qualcuno ha cominciato a dubitare della mia identità sessuale, che invece non è cambiata. 

Tutto questo per giustificare la responsabilità che mi sono preso nell’ultimo lavoro – Strappo alla regola, andrà in scena il prossimo anno – dove non solo le protagoniste femminili sono due, ma il tema è quello della violenza sulle donne. La catena ininterrotta di femminicidi, che assomiglia nella sua diabolica progressione alla diffusione di un virus letale, non ha lasciato indifferente il Teatro italiano, e testi sul tema se ne sono già visti parecchi – alcuni di successo come Ferite a morte, dal libro di Serena Dandini. La chiave di questi lavori è tragica, il fine è quello di suscitare nel pubblico orrore e pietà, e indurlo a una dolorosa presa di coscienza. Strappo alla regola invece è una commedia. Cerco di raccontarvela brevemente, senza rivelare troppo, perché spero che anche voi veniate a vederla in scena. 

Orietta è un personaggio secondario di un film dell’orrore – film che vediamo realmente proiettato in sala. Sta per essere raggiunta da un misterioso assassino, ma riesce inaspettatamente a sfuggirgli uscendo da uno strappo dello schermo. Si ritrova in una sala cinematografica deserta – in realtà ci auguriamo che il teatro sia sempre pieno – dove incontra Moira, la maschera del cinema. Moira pensa di essere impazzita, ma deve ricredersi perché Orietta ora è viva e le chiede aiuto. La trama del film si inceppa e Moira, temendo di perdere il posto di lavoro, cerca di convincere Orietta a ritornare nel film per farsi assassinare. Ma Orietta è così decisa a cambiarsi la vita, che Moira trova il coraggio di confidarle il suo segreto: è in verità una donna disperata, che vive una relazione tossica, da cui non riesce a uscire. Così la situazione si rovescia e nel finale è Orietta – il personaggio della fantasia – a incoraggiare la maschera del cinema a trovare lo “strappo” per uscire da una storia dell’orrore. 

Come potete intuire, sto raccontando una favola – già Woody Allen aveva usato un procedimento simile nella sua Rosa Purpurea del Cairo. Una favola piena di umorismo, di ironia, e di amore per il cinema. Ma dove a poco a poco il tema della violenza di genere portato da Moira entra, la rompe e ci fa rimbalzare sulla realtà. Però provocandoci una reazione diversa, che non fa leva sul nostro senso di colpa perché “contro questo orrore stiamo facendo troppo poco”, ma stimola la nostra capacità di leggere i contorni pericolosi delle nostre relazioni quotidiane, raccontandoci che la cultura, l’arte, la fantasia, sono strumenti salvifici, preziosi alleati che ci consentono di capire quello che viviamo.

Sono molto curioso di vedere l’impatto che avrà sul pubblico questo lavoro. Certo, per combattere il fenomeno della violenza di genere ci vuole altro, ma uno spettacolo riuscito, divertente, accattivante – speriamo che il nostro sia così – va prima di tutto nella direzione di cambiare lo stato d’animo di chi lo guarda. Per dargli energia. Per rinforzare le idee buone ridicolizzando i pregiudizi, i luoghi comuni e i cattivi maestri dell’anima. Mi rendo conto che, rispetto all’entità del problema, questo è solo un piccolo contributo. Ma farò di tutto perché sia un contributo riuscito. Sono convinto che per combattere l’orrore della violenza di genere non basteranno associazioni di difesa delle donne, buone leggi e pene severe. Bisognerà che ciascuno – uomo o donna che sia – lavori su se stesso. Scoprendo dentro di sé dove si nascondono le radici della cultura maschilista e patriarcale, per trovare il coraggio e la libertà di estirparle per sempre. E in questo senso il teatro, può dare una davvero una mano.


Edoardo Erba (www.edoardoerba.com)  è un drammaturgo, sceneggiatore e regista teatrale italiano, docente  universitario di  Scrittura per la scena e per lo schermo presso l’Università degli Studi di Pavia. Autore di numerose commedie teatrali di successo più volte portate in scena, ha scritto Maratona a New York (1993), un apprezzatissimo testo elogiato dalla critica e seguito da un pubblico numeroso; dopo l’Italia, l’opera è stata rappresentata a Londra, Edimburgo, Sydney , Wellington, Boston, Barcellona, Buenos Aires, Rio De Janeiro, Zagabria, Mumbay, Hong Kong e Tokyo  ed è stata tradotta in 17 lingue straniere.  È inoltre autore di  Il marito invisibile; Maurizio IV, Rosalyn; Utoya, Trote, Tante belle cose, Muratori (2002, replicato per sedici stagioni consecutive) e Margarita e il Gallo (vincitore degli Olimpici del Teatro nel 2007). In veste di narratore ha pubblicato il romanzo Ami (Mondadori 2019, vincitore del premio Robinson) che offre una storia di emigrazione, infanzia, sfruttamento, viaggi della speranza, in cui la protagonista, come in un rosario di ruoli emarginati, snocciola le parti di innamorata delusa, madre abbandonata e venduta, contrabbandiera e entraîneuse conservando un’instancabile energia vitale che le farà cambiare luoghi lingua e vita. Bio a cura della redazione.

Strappo alla regola – di Edoardo Erba

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