Abstract
Questo articolo ha lo scopo di dare una definizione di “segno” nel modo più ampio possibile. Nella prima parte dell’articolo, si dà una definizione di “segno” dal punto di vista semiotico, in particolare parlando della definizione ritenuta più nota e precisa del linguista Ferdinand de Saussure. Si affronta, inoltre, il ruolo del segno all’interno di un sistema di segni ben più complesso, ovvero la lingua dei segni. Per approfondire, viene affrontata la teoria di Stokoe, dove si spiegano i parametri formazionali del segno.
Nell’ultima parte dell’articolo, si descrive dettagliatamente un esperimento. Quest’ultimo consiste in un’analisi concettuale dettagliata, dove si confrontano e si analizzano due trascrizioni ricavate dalle interpretazioni in simultanea di un servizio televisivo della CNN, una in italiano e l’altra in LIS. Il fine di quest’analisi è quello di comprenderne gli errori e mettere in evidenza quale delle due si è rivelata più fedele al testo fonte.
Introduzione
Il termine “segno” ha origini lontane nel tempo. Questo elemento è presente in vari periodi storici diversi tra loro, dove viene utilizzato e definito in modo differente.
Nel corso della storia, sono stati introdotti diversi modelli che ne forniscono una definizione.
Il modello più noto e preciso è quello del linguista Ferdinand de Saussure, padre della linguistica generale. Saussure (Treccani-Enciclopedia dell’Italiano, 2011) pone alla base del segno due elementi: il significato e il significante. Il significato riporta al concetto astratto dell’elemento di cui vogliamo parlare, mentre il significante può essere definito come “entità presente”, ovvero la parola, formata da unità minime prive di significato. Il segno è, quindi, la relazione tra queste due entità.
Saussure, quindi, definisce il segno come un elemento facente parte di un sistema linguistico ben più elaborato e complesso che le persone utilizzano per esprimersi.
Al di là del concetto a livello semiotico, oggi, se pensiamo al segno, pensiamo anche a ricondurlo alla lingua dei segni.
1. La lingua dei segni
La lingua dei segni è una lingua che trasmette i propri messaggi tramite un sistema codificato di segni delle mani, del corpo ed espressioni del viso. Questa lingua è utilizzata, principalmente, all’interno della comunità dei segnanti, della quale fanno parte soprattutto non udenti, ma non solo. Infatti, all’interno di questa comunità si trovano tutti coloro che, per diversi motivi, utilizzano la lingua dei segni, come per esempio: figli o parenti udenti di sordi, collaboratori sociali, interpreti, ecc.
Ogni paese ha la propria lingua dei segni differente dalle altre, per esempio: in Italia è presente la LIS, negli Stati Uniti l’ASL, in Francia la LSF e nel Regno Unito la BSL. All’interno di uno stesso paese e addirittura di una stessa città, si possono riscontrare delle diversità a livello linguistico. In questo caso si parla di veri e propri dialetti. C’è un motivo per cui si sono sviluppate queste differenze? La lingua dei segni rappresenta la prima forma di comunicazione per le persone sorde che sviluppano, quasi automaticamente, un linguaggio visivo-gestuale per esprimersi. Allo stesso tempo, la mancanza di una forma di scrittura ha portato ad una scarsa standardizzazione di quest’ultimo. Per quanto riguarda le lingue dei segni, la mancanza di diffusione scritta della lingua nelle scuole e la sua quasi totale assenza nei media ha fatto sì che subentrassero varietà e dialetti, anche molto diversi tra loro. La comunità di segnanti ha una struttura stratificata, altro elemento che frena i processi di standardizzazione, ovvero che è composta da segnanti che hanno competenze linguistiche di livello diverso. Solo una piccola parte di queste persone è figlia o parente di sordi e può acquisire la lingua dei segni fin dai primi anni di vita. Nel caso di questa piccola parte della comunità, si hanno importanti conseguenze. Infatti, i segnanti sono spesso isolati gli uni dagli altri nei primi anni di vita e di conseguenza, le possibilità di usare e apprendere la lingua dei segni sono circoscritte.
Tutt’oggi, veicolo fondamentale per la diffusione e l’apprendimento sono le scuole in cui si trovano più bambini sordi insieme, dove gli insegnanti o gli assistenti alla comunicazione praticano fluentemente una lingua dei segni e i circoli o club dove i non udenti si incontrano e possono comunicare in segni tra loro (Russo Cardona, Volterra, 2017).
2. Cenni storici
La comunicazione visivo-gestuale vede differenti tipologie di approccio e utilizzo nel corso della storia. Le prime testimonianze dell’esistenza di questa tipologia di comunicazione risalgono ai tempi di Platone e Aristotele, i quali ne parlano in celebri scritti, descrivendo scene dove viene utilizzata questa lingua. Tuttavia, si parla di un vero e proprio sistema comunicativo basato sui segni con l’abate francese de l’Epée, che nel corso del ‘700 fonda, in Francia, il primo Istituto per sordi (Russo Cardona, Volterra, 2017).
Nel 1700, si ha una vera e propria svolta culturale e sociale. Il motivo di questo cambiamento di pensiero è dovuto alla sempre maggiore attenzione agli apparati fisici dell’uomo e degli animali, che si stava diffondendo tra gli studiosi dell’epoca e, in particolare, all’interesse verso il ruolo dei sensi per la conoscenza e l’approccio alla realtà. In questo contesto, i sordi destano sempre più attenzione e, in particolar modo, la loro lingua. In questo periodo, si assiste alla nascita di un vero e proprio mercato dei metodi terapeutici, dove i più importanti educatori si contendono i membri delle famiglie aristocratiche dell’epoca. Una svolta importante, come precedentemente detto, si ha con l’abate Charles-Michel de l’Épée, che comincia un percorso di rieducazione con diversi bambini provenienti da tutti i ceti sociali indistintamente. La teoria di de l’Épée dice che “al bambino sordo debba essere data una via di accesso naturale ai contenuti della comunicazione, che gli permetta innanzitutto di uscire dall’isolamento e di sviluppare le proprie conoscenze” (Russo Cardona, Volterra, 2017). I sordi imparano prima i segni per oggetti e concetti semplici e, in seguito, combinazioni complesse di tali concetti. Egli inizia a considerare il ruolo del segno, fondamentale nella rieducazione dei non udenti, sviluppando un vero e proprio metodo manualista. Tuttavia, de l’Épée non considera le lingue dei segni lingue dotate di una loro autonomia, ma pensa di poterle modificare per l’insegnamento. A tal fine, l’abate introduce dei segni che indicano relazioni logiche e grammaticali, per la maggior parte basate sulla grammatica francese, proprio per questo, chiama i suoi segni “signes méthodiques”. I segni metodici dell’abate sono una forma di comunicazione segnata che comprende una componente artificiale: i segni aggiuntivi, introdotti dal maestro manualista per l’insegnamento (Russo Cardona, Volterra, 2017).
3. I cheremi
Lo stesso termine “segno” si affronta nel corso degli anni Settanta del ‘900, in seguito all’importante studio di William Stokoe, condotto nel 1960, Sign language structure. L’analisi di Stokoe è partita dalla comparazione tra ASL (American Sign Language) e lingua vocale. Egli si interroga sull’esistenza di unità equivalenti ai fonemi nell’ASL, quindi le unità minime prive di significato nella lingua vocale. Si introduce così il concetto di cheremi, unità equivalenti ai fonemi. Secondo Stokoe, ogni segno può essere scomposto in cheremi, che sono parametri formazionali del segno. Essi sono: luogo, configurazione, orientamento e posizione.
Vediamoli più nel dettaglio.
a) Il luogo
Il luogo è lo spazio, rispetto al corpo, dove viene eseguito un segno, più precisamente un’area circoscritta che va dall’estremità della testa alla vita e da una spalla all’altra. Quest’area, chiamata spazio segnico, è limitata per facilitare la produzione, ma soprattutto la percezione del segno. La maggior parte dei segni viene eseguita nel cosiddetto “spazio neutro”, che corrisponde allo spazio di fronte al corpo del segnante, dove le mani si muovono naturalmente e con facilità. Per esempio, la parola “montagna”, riportata qui di seguito.
Dato che, lo spazio neutro è abbastanza ampio, il segno può essere prodotto più in alto, più in basso, più al centro o più o meno lateralmente. In LIS, sono stati individuati 16 luoghi (Verdirosi, 2004).
b) Le configurazioni
La configurazione rappresenta la posizione che viene assunta dalla/le mano/i al momento della produzione del segno. Il primo a individuare le configurazioni fu Stokoe, che analizzando i parametri in ASL, ne individuò 19. Egli decise di trascriverle con una serie di simboli corrispondenti alle lettere dell’alfabeto manuale e ai numeri, prefissati nella cultura sorda e, in particolare, in quella udente americana. In LIS, sono state individuate 56 configurazioni (Corazza, Volterra, 2004).
c) Il movimento
Il movimento è il parametro più difficile da comprendere e, allo stesso tempo da spiegare. Infatti, un segno può incorporare contemporaneamente più tipologie di movimento, dato che può essere eseguito più o meno lateralmente, velocemente e può essere allungato o bloccato (Radutzky, Santarelli, 2004).
d) La posizione delle mani
La posizione delle mani può essere definita come il rapporto che le mani hanno con il corpo o l’una con l’altra, nello spazio e nella parte iniziale di un segno, ovvero prima dell’inizio del movimento. Un segno è determinato da una mano che assume una certa configurazione in un determinato luogo, e che si muove in un certo modo. La posizione della mano indica lo stato di quest’ultima all’inizio del segno. La mano assume, quindi, una certa posizione rispetto al corpo e alla mano stessa. Per la posizione della mano si prende in considerazione l’asse che va dal polso al metatarso, le combinazioni possibili sono sei, ma non tutte sono comode per il segnante e, soprattutto, possibili (Radutzky, Santarelli, 2004).
4. L’esperimento
La lingua dei segni, come precedentemente detto, è definita una lingua a tutti gli effetti. La lingua vocale ha delle caratteristiche specifiche (sistematicità e variabilità, arbitrarietà e iconicità, ecc.), queste sono applicate in modo diverso nella lingua vocale rispetto alla lingua dei segni.
Si è condotto un’analisi specifica, al fine di comprendere le differenze interpretative tra due rese differenti. Quest’analisi è di tipo concettuale e prende in esame un testo ricavato dalla trascrizione di un servizio in inglese della CNN che, grazie al contributo di interpreti professionali, è stato tradotto simultaneamente prima in italiano e poi in LIS. Per condurre l’analisi in questione, ci si è avvalsi di una tassonomia chiamata IRA, proposta da Eugeni (2017) e adattata al presente lavoro, dato che concepita per il sottotitolaggio automatico.
Le interpretazioni sono state trascritte e successivamente suddivise in unità concettuali, ovvero frasi di senso compiuto. Il fine di quest’analisi consiste nel mettere a confronto le due rese, per comprenderne gli errori, quale delle due è più fedele al testo di partenza e, infine, quanto l’interpretazione intrasemiotica, quindi da inglese a italiano, sia più facile o meno rispetto a quella intersemiotica, quindi da italiano a LIS. Vediamo i risultati finali.
– Analisi dell’interpretazione da inglese a italiano
La tabella 1 riporta i risultati finali ottenuti dall’analisi concettuale del testo dell’interpretazione dall’inglese all’italiano. Un primo dato interessante è il tasso riguardante le unità concettuali rese, che è del 77%. Di questo 77%, il 56%, perciò la maggior parte, consiste in ripetizioni e il restante 44% comprende le alterazioni presenti all’interno delle singole unità concettuali. Come si può ben notare dalla tabella, la maggior parte delle alterazioni è costituita da riduzioni suddivisibili, a loro volta, in omissioni e compressioni. In altre parole, l’interprete ha preferito ridurre le unità concettuali tradotte, piuttosto che introdurre degli elementi aggiuntivi, infatti il tasso delle espansioni (23%) è nettamente inferiore a quello delle riduzioni. Per quanto riguarda le unità concettuali non rese, la maggior parte è costituita da omissioni di intere unità concettuali (87%) e, precisamente, soltanto una è stata travisata (13%), in quanto riporta un’informazione opposta rispetto a quella del testo fonte.
– Analisi dell’interpretazione dall’italiano alla LIS
La tabella 2 riporta i dati finali ottenuti dall’analisi dell’interpretazione dall’italiano alla LIS. Come si può notare, il tasso di unità concettuali tradotte è del 100%, possiamo dire, quindi, che può essere considerata un’ottima resa. Come la precedente, anche questa interpretazione presenta delle alterazioni delle unità concettuali. Le alterazioni sono costituite totalmente da riduzioni di queste ultime. Contrariamente all’interpretazione da inglese a italiano, l’interprete ha preferito sintetizzare (compressioni) le unità concettuali piuttosto che ometterne degli elementi. Un’altra differenza, che possiamo notare osservando la tabella, è che sono presenti degli errori lessicali minori. Questi ultimi non hanno assolutamente minato la resa complessiva che, come ho detto precedentemente, può essere considerata ottima.
Conclusioni
In conclusione, contrariamente a quanto si pensava, la traduzione intersemiotica (quindi da italiano a LIS) si è rivelata più fedele al testo di partenza, cosa alquanto inaspettata. In altre parole, nella traduzione intersemiotica, quindi da italiano a LIS, i canali comunicativi sono semioticamente opposti, questo elemento avrebbe potuto causare più difficoltà nella fruizione del testo.
Bibliografia
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- Radutzky E., Santarelli B. (2004), “Movimenti e orientamenti”, in Volterra V. (a cura di) La lingua dei segni italiana- La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Bologna: il Mulino, pp.109-158;
- Russo Cardona, T., Volterra V. (2017) Le lingue dei segni- Storia e semiotica, Roma: Carocci editore;
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- Treccani- Enciclopedia dell’italiano, in http://www.treccani.it/enciclopedia/segno/ (ultimo accesso 27/11/2018);
- Verdirosi M. L. (2004), “Luoghi”, in Volterra, V. (a cura di) La lingua dei segni italiana- La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Bologna: il Mulino, pp.23-48;
- Volterra, V. (2004) La lingua dei segni italiana- La comunicazione visivo-gestuale dei sordi, Bologna: il Mulino.