A Lucia

 

  • AVVERTENZA

Questo mio articolo riassume i contenuti del secondo capitolo di Offret / Sacrificio di Andrej Tarkovskij. La Pittura e il Rimpianto Indefinito, tesi di laurea triennale discussa il 25 novembre 2011 presso l’Università di Pisa con il prof. Pier Marco De Santi in veste di relatore. Come suggerisce il titolo, si trattò di un lavoro di carattere monografico, dedicato all’ultima pellicola che il grande regista russo (1932-1986), assai caro all’universo culturale fiorentino, riuscì a portare a termine. La storia segue da vicino Aleksander (E. Josephson), ex-attore di teatro che, da anni, vive sull’isola di Gotland, nel Mar Baltico, a fianco della moglie Adelaide (S. Fleetwood), di Marta (F. Franzen), la figlia maggiore, e Ometto (T. Kjellqvist), l’ultimogenito. Nella mattina del suo compleanno, mentre riposa all’ombra di una betulla, l’uomo crolla a terra, sconvolto da una visione: il quartiere di una grande città ridotto ad un triste acquitrino, cosparso di carcasse d’automobili, brandelli di giornale e, ovunque, indistinti echi di una sorta di nenia, intonata da una voce di donna… Rientrato a casa, Aleksander dimentica l’accaduto e, incuriosito, si appresta a scoprire i doni che Viktor (S. Wollter), il medico di famiglia, e Otto (A. Edwall), un postino burlone e un po’ filosofo, gli hanno portato. La quiete del rinfresco (salvo il fatto che, mentre sta raccontando una sua esperienza nella sfera “paranormale”, Otto sviene senza un’apparente ragione) viene spezzata da un minaccioso rombo di aerei da caccia, che mette la casa a soqquadro: pare assurdo ma è appena iniziata la guerra atomica. Il terrore dell’evento svela quanto di più aspro o meschino nascondessero gli ospiti: Adelaide cede ad una crisi di nervi e, ormai priva di ogni remora, confessa la giovanile infatuazione, in verità mai sopita, per Viktor; la fantesca Giulia (V. Mairesse) trova il coraggio di rinfacciare alla padrona di casa la sua quotidiana boria; Marta corre nuda fra una stanza e l’altra, quasi fosse preda di forze inumane. Non da ultimo, al centro di questa baraonda, Aleksander si genuflette, promettendo a Dio Onnipotente di rinunciare a quanto ha di più caro (la casa, la famiglia, la facoltà di esprimersi) se solo farà tornare tutto come prima. Intanto, da un angolo buio del tinello “occhieggia” la riproduzione di un’opera di Leonardo da Vinci, L’adorazione dei Magi: la sua presenza e così pure lo sguardo della Vergine, che siede al centro, adombrano (e ammoniscono) gli animi dei presenti non meno dell’imminente conflitto… Vista l’importanza cruciale di tale dipinto nel tessuto della vicenda, e ricorrendo il cinquecentesimo anniversario della morte dell’artista rinascimentale, ho tirato fuori dal cassetto quanto scrissi, quasi dieci fa ormai, apportando piccole modifiche: vorrei, infatti, che a parlare fosse, né più né meno, lo studente di allora, con la sua ansia di dire molto, troppo; alcune intuizioni, non poca zavorra, sia lessicale che teoretica, rimandi frequenti ma, al tempo stesso, la dolcezza di abbandonarsi totalmente all’argomento, dolcezza che sempre più raramente torna a farmi visita. Ho aderito alla seguente bibliografia che, per un ulteriore approfondimento, segnalo al lettore:

  • Antonacci F., (a cura di), Schermi immaginali, Mimesis Ed., Milano 2007.
  • Argan G. C., Storia dell’Arte Italiana. Vol. II: Il Trecento e il Quattrocento, Sansoni, Firenze 1985.
  • Barilli R., Arte Moderna. Vol. II, Fabbri, Milano 1967.
  • Brosse J., Mitologia degli alberi, dal giardino dell’Eden al legno della croce, Rizzoli, Milano 1994.
  • Calvesi M., Un albero per la salvezza, Giunti: ‘Art Dossier’, Firenze 1993.
  • Carli E., Dell’Acqua G. A., Storia dell’Arte. Vol. III: Dal ‘500 ai contemporanei, ‘I. I. A. G.’, Bergamo 1981.
  • Chastel A., Arte e umanesimo a Firenze nell’età di Lorenzo il Magnifico, Einaudi, Torino 1959.
  • Costa A., Il cinema e le arti visive, Einaudi, Torino 2002.
  • Graf A., Miti, leggende e superstizioni del Medioevo, Mondadori, Milano 1993.
  • Kononenko N., Andrej Tarkovskij. Zvuchashchij mir fil’ma, Progress-Traditsija, Moskva 2011.
  • Maroy J-L., Le sacrifice d’Andreï Tarkovski. Une parabole sur le temps de la fin, L’Harmattan, Louvain-la-Neuve (BW) 2017.
  • Postorino A., Armonie di vita infinita in AA. VV., (a cura di), ‘Il Rigo Musicale’, per., Anno V, Società dei Concerti, La Spezia Settembre 2008.
  • Salvestroni S., Il cinema di Tarkovskij e la tradizione russa, QIQAION, Magnano (BI) 2005.
  • Valéry P., Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci, Abscondita, Milano 2007.

 

  • IMPRESSIONI

Un bambino sfoglia, mesto, un ingiallito catalogo delle opere di Leonardo da Vinci. Il gesto è accompagnato dall’aria Quando corpus morietur, duetto finale dello ‘Stabat Mater’ di Pergolesi. L’episodio, proveniente dal film Lo specchio (1974), è forse un esempio del senso di timore che pervade Andrej Tarkovskij mentre assiste (e restituisce, passato per la sua visione del mondo, al pubblico) allo spettacolo della bellezza: l’artista trova qualcosa, un’immagine di autenticità si rivela a lui. Non calando, però, dalla sfera delle idee bensì estirpata da una contingenza “umida”, palpitante: vuoi dalla superficie di un prato alle prime ore del mattino, in riva agli stagni, dalle cortecce coperte di licheni. Compiuta l’opera, il pittore è riuscito a mettere ordine in questo panorama indeterminato, formicolante di vita. La disposizione rigorosa (di Leonardo, nel nostro caso) non impedisce, però, all’osservatore di intuire la casualità irrequieta che la tela trattiene, di goderne l’intensità senza esserne fagocitato. Ed ecco, in parte, giustificato lo stupore derivante dall’apparizione a tutto schermo, sempre ne Lo specchio, della Ginevra de’ Benci (1474 ca.), con la luce del suo crepuscolo che delinea i contorni del fogliame profondo, gli arbusti più piccoli e allungati in lontananza, un corso d’acqua, le colline perse nella bruma serale, gli occhi larghi della nobildonna, i suoi riccioli, il minuscolo fermaglio che congiunge i lembi della tunica. Ogni accidente, unico ed irripetibile nel suo svolgersi, viene re-inscenato e, in un certo senso, “fatto nuovo”, esaltandone l’intrinseca qualità.

La comparsa, anche fugace, dei capolavori della pittura occidentale nelle sue pellicole non è dunque per Tarkovskij un espediente calligrafico o meramente allusivo: assume, invece, il valore di un accalorato invito al riscatto; la fiducia in una salvezza non solo individuale, empirica ma prima di tutto metafisica raggiungibile, appunto, attraverso l’atto di contemplazione estetica. L’equilibrio raggiunto dall’artista nel prodotto finale potrebbe suggerire all’individuo una nuova organizzazione del proprio intelletto, la possibilità di far convivere la volontà realizzatrice con il rigore. Come scrive Paul Valéry nel saggio Introduzione al metodo di Leonardo da Vinci (1894):

“Una volta istituito il rigore, una libertà positiva si rende possibile, mentre, per quanto riguarda la libertà apparente – la quale consiste semplicemente nella capacità di obbedire ad ogni impulso casuale – quanto più ne godiamo e tanto più ci troviamo incatenati al medesimo punto, come il sughero sul mare, che nulla trattiene, che tutto sollecita, e sul quale colluttano e si annullano tutte le potenze dell’universo.”

Nomi quali Bruegel il Vecchio, Piero della Francesca, il sunnominato Leonardo fanno capolino dalle conversazioni fra i protagonisti o da magiche sequenze – si guardi la levitazione nella stanza dei cimeli in Solaris (1972-‘74) – quali modelli di contemplazione conoscitiva: questi artisti partirono da una “sensazione di passiva pienezza” per poi assistere allo schiudersi di valori “diversi” nel fenomeno osservato; valori prima non rintracciati e adesso immortalati quasi con furia pur di restituire al fruitore – e non lasciar obliare dentro sé stessi – l’estasi di quell’esperienza. Tarkovskij, ad esempio, durante le riprese di Andrej Rublëv (1966), ammise di aver cercato di ricostruire plasticamente, per l’episodio della crocifissione, proprio un’opera di Bruegel.

In Sacrificio (1986), testamento filmico e spirituale del nostro cineasta, l’interiorizzazione di ulteriori suggestioni pittoriche ci porta a nuove riflessioni: Aleksander mostra ad Otto una copia incorniciata de L’adorazione dei Magi di Leonardo. Il postino sussurra “Lo trovo terribilmente sinistro… Ho sempre provato un grande terrore di fronte a Leonardo!”. È possibile che Tarkovskij avesse riposto parte della propria inquietudine in queste parole? Quando le opere d’arte si allontanano dalla luce piatta, “obiettiva” dei musei prendono vita, vibrano di una sonorità grave. Deformate dal groviglio di ombre e altre immagini riflesse sul vetro della cornice, riacquistano la loro antica capacità di far inginocchiare religiosamente gli osservatori e spesso lo stesso creatore. L’idea in esse incarnata non si limita a saziare i sensi ma riconduce l’individuo alla cognizione della precarietà che lo divide da una tale armonia costruttiva. Lo frustra, perfino. Borbotta lo scrittore Gorčakov (O. Jankovskij) in Nostalghia (1983): “Sono stufo dei vostri capolavori”. Sacrificio sembra, poi, mettere in campo un criptico “braccio di ferro” tra la comparsa fugace delle icone (raffigurate nel volume che Viktor regala ad Aleksander per il suo compleanno), con la loro “magnifica raffinatezza, saggezza e spiritualità; infantile purezza e innocenza, profonda e virginale nello stesso tempo” – richiamo quasi subliminale al finale del Rublëv – e l’onnipresenza sibillina di un disegno scuro, incompleto di Leonardo, nel quale vengono enfatizzate le conseguenze “rivoluzionarie”, perturbanti della venuta del Salvatore anziché l’aspetto gaudioso. Volti attoniti, incupiti, quasi ebeti. La Storia conosciuta fino a quel momento, con le sue (false) certezze ed ideologie, si arresta di colpo. Il genere umano attende una risposta, in silenzio. Irrigidito, come in un ‘fermo-immagine’.

 

  • UN FREMITO IN QUELL’ADORAZIONE

La storia della pittura fiorentina nella seconda metà del Quattrocento è per così dire “contrappuntata” da una serie di celebri Adorazioni dei Magi, molte delle quali commissionate dalla famiglia Medici o eseguite in loro onore. Già negli anni di Cosimo la trattazione di questo soggetto abbinava spesso un retroterra simbolico ad elementi di attualità. Vediamo ad esempio l’affresco di Benozzo Gozzoli dipinto nella cappella al palazzo Medici nel 1459; i tre Magi rappresentano le tre età della vita sotto forma di tre personaggi celebri: il più vecchio è il patriarca di Costantinopoli, Giuseppe, morto a Firenze dopo il celebre concilio del 1439; il re malinconico è l’imperatore Giovanni VII che, in questa occasione, aveva sostenuto un trattato contro gli Ottomani e un curioso Mago fiorentino (Lorenzo, in verità), vestito in occasione della festa orientale data in piazza della Signoria nel 1459.

A partire dal 1480 le Natività fiorentine si caricano di due aure: il cosiddetto pittoresco antichizzante nel Ghirlandaio e la concentrazione drammatica in Leonardo con l’Adorazione (1481-‘82), definita felicemente da André Chastel “di gran lunga la più ambiziosa e complessa che mai fosse stata concepita. Immaginata in una forma straordinariamente tormentata”. Oppure come scrivono Carli e Dell’Acqua “un prodigioso semenzaio di motivi”.

Effetti profondi di luce ed ombra ritagliano, come potrete osservare, tre zone nel triangolo centrale il quale, a sua volta, si iscrive in un arco di cerchio ripreso dallo scenario del fondo; i Magi e il loro seguito si affollano intorno alla Madre e al Bambino seduti su di una specie di panchetto alla base di un lauro: elementi di riposo nel fermento generale. Intorno al gruppo centrale appaiono gli angeli sotto forma di putti sorridenti intorno a un avvenimento misterioso. Il re che appare di fronte dietro la Vergine sembra esitare ad avvicinarsi. L’altro alla destra della Madre è prostrato con il volto quasi rasoterra. Il primo alla sinistra del Magico Fanciullo porge sommesso un dono. Sempre sul lato sinistro, sulla linea che attraversa lo spazio fra la spalla di Maria e la testolina del neonato, si nota un pastore che si passa la mano destra sulla fronte, come se non si capacitasse di quanto sta accadendo, e poggia la sinistra all’altezza del cuore. Riassumono Carli e Dell’Acqua accogliendo il soggetto nel

“carattere fantastico del paesaggio popolato di alberi neri, di gruppi di cavalieri e di romantiche rovine con rotte scalee.”

Ancora Chastel scorge efficacemente

“una sorta di sacro nervosismo che circonda il placido gruppo divino; il Bambino accoglie con gravità l’offerta degli adoratori nei quali non c’è più nulla che serva a farli riconoscere come re. […] I Magi appaiono come testimoni della scienza che subiscono l’urto del mistero divino: lottano, discutono, s’inchinano. […] Leonardo ci mostra una folla sorpresa e sconvolta”

Il corteo nel disegno dà luogo a un’agitazione estrema: l’umanità non era preparata all’arrivo del Salvatore oppure non se lo aspettava in quella data forma, in quel preciso momento. Sente di non essere degna dell’iniziazione in atto. Conclude Argan, chiamando in causa il ‘furor’ (concetto fondamentale del corrente pensiero neoplatonico, sorta di ispirazione, grazia divina concessa a pochi superiori):

“[Leonardo; N.d.R.] sviluppa il tema più come epifanìa, o manifestazione del divino, che come adorazione. Ma rifiuta di considerare l’aspetto sociale del tema e va dritto al nucleo filosofico […]. Epifanìa è fenomeno; dunque nel fenomeno e non nell’astratta idea si manifesta il divino. Il fenomeno sorprende, turba, suscita reazioni diverse, mette in moto tutta la realtà. […] Tanto le figure vicine quanto le lontane sono agitate dal furor; ma nelle lontane – quelle della storia ormai antica – il furor è lotta di guerrieri a cavallo, nelle vicine – toccate dal fenomenizzarsi del divino – è incontenibile impeto di affetti e di moti. È dunque il fenomeno che lega in una continuità ciclica, in un’orbita di moto perenne, il mondo naturale e il mondo umano, le perturbazioni cosmiche e i turbamenti dell’animo, i sentimenti.”

Tenendo presente i profondi legami della famiglia Medici con la Confraternita dei Re Magi – uno dei sodalizi più importanti di Firenze, punto di convegno degli umanisti devoti dell’Accademia Platonica, tra i quali il Landino –  e l’altra Adorazione ritrovata nel 1890 a opera di Sandro Botticelli (una delle composizioni più visionarie del Quattrocento, considerata da alcuni studiosi un tentativo non riuscito di avvicinarsi al disegno di Leonardo), possiamo dimostrare che per l’umanesimo fiorentino l’atmosfera dell’Epifania era accostabile alla meraviglia e al turbamento interiore più che all’avvenimento gaudioso. Circolavano pensieri antitetici: per Marsilio Ficino, ad esempio, i Magi rappresentavano il mirabile edificio del sapere ecclesiastico; per il Savonarola e Giovanni Pico, l’insufficienza e la vanità della scienza pagana. Leonardo da Vinci libera definitivamente l’episodio evangelico dal fascino ingenuo, popolare per l’esotico e ne fa una grande scena della storia umana, una Storia di microstorie vere nel senso etico e non fattuale del termine.

Uno scandaglio geometrico, preciso della reazione collettiva al cospetto di un incontro d’illuminazione. L’intuizione di Tarkovskij a voler contrassegnare il tema e le vicissitudini di Sacrificio (o, come scrive Antonio Costa, “regolarne in modo puntuale tutto il sistema simbolico”) con L’adorazione dei Magi è perciò formidabile in quanto ciascun personaggio si può ricondurre a uno dei tre atteggiamenti empirici individuabili nel disegno: il personaggio in meditazione che incarna la riflessione filosofica dolente (Aleksander si confida a Viktor “Mi sono preparato per vivere una vita più alta. Ho studiato filosofia, storia delle religioni, estetica e ho finito per mettermi in catene con le mie mani, di mia propria volontà. Però allo stesso tempo sono felice”), lo spettatore abbagliato (di questo possiamo individuare alcuni tratti sempre in Aleksander, dato che rimane folgorato da una vera e propria visione ammonitrice ma la manualità e l’umiltà dello ‘spectator’ è coltivata anche dal postino Otto, curioso del mondo e accanito “collezionista di fenomeni paranormali”) e il gruppo in discussione (Adelaide condanna con severità veterotestamentaria la propria debolezza quale causa del disfacimento del suo matrimonio, Giulia piange la sorte del piccolo Ometto nelle mani di una madre incapace d’amare, Viktor è stufo di “soffiare il naso” a questa famiglia in crisi e medita di fuggire in Australia).

Qual è il significato del lauro alle spalle della Madre e del Fanciullo? La sua presenza nel disegno (nel film è simile a un ikebana) è altamente versatile: nel libro della Genesi (3; 20-24), Dio allontana l’uomo dai frutti dell’Albero della Vita e pone alcuni cherubini armati di una spada fiammeggiante per impedirne l’accesso. Altri arbusti però sono germogliati, fioriti, seccati. Dal tronco inaridito della dinastia di Davide (Isaia 10; 33-34 / “Ecco il Signore, Dio degli eserciti che strappa i rami con frastuono”) spunterà un nuovo germoglio, in modo assolutamente gratuito (Isaia 11; 1- 10 / “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse”). Che cosa aveva visto Seth (Vangeli apocrifi; ‘Vita di Adamo ed Eva’: l’Arcangelo Michele consente a Seth di guardare nel giardino di Eden) quando aveva gettato la prima occhiata nel giardino? Una fontana meravigliosa dalla quale partono quattro fiumi e accanto alla quale si erge un albero secco. Dal suo legno sarà intagliata la croce che verrà piantata proprio nel luogo della sepoltura di Adamo, così il sangue del Salvatore cadrà sul primo uomo e in lui tutta l’umanità sarà guarita: l’identificazione tra Croce e Albero della Vita è raccontata inoltre nella Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine –  che ispirò Piero della Francesca (artista già omaggiato, come accennai prima, dal cineasta russo in Nostalghia dove la Madonna del parto faceva un magico ingresso) per il ciclo di affreschi nella chiesa di S. Francesco ad Arezzo – e negli scritti di alcuni mistici come San Bonaventura.

Concludo, citando il non meno interessante Vangelo di Nicodemo: vi si narra anche la storia di Giuseppe di Arimatea, dalla quale avrà origine il ciclo del Graal. Nel dipinto di Leonardo sono presenti sia l’albero (in questo caso un lauro verdeggiante) che la coppa, offerta da uno dei Magi al Bambino, che tende la mano verso di essa. L’albero e la coppa (entrambi allusioni al sacrificio) sono i due dettagli sui quali scorrono i titoli di testa del film di Tarkovskij.

“Sacrificio” – L’ultimo incontro fra Leonardo e un cuore puro venuto da Zavraž’e – di Giordano Giannini

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