Dante Alighieri è un personaggio di spicco all’interno del panorama culturale dell’undicesimo secolo, un poeta e un politico italiano di tale rilevanza che ancora oggi viene studiato nelle scuole e nelle università di tutto il mondo. È lui che viene considerato come il progenitore della lingua italiana, lui e la sua celebre Divina Commedia, opera che è stata adattata in praticamente tutte le discipline artistiche create dall’uomo. La Divina Commedia è così tanto importante che, nonostante l’apparente incompatibilità di Dante con il mondo dei videogiochi, egli stesso e la sua “Comedìa” sono stati adattati addirittura in diversi prodotti di questo settore. Di fatto, quello dei videogiochi è un mondo che si presta particolarmente bene a qualunque tipo di adattamento come è successo, qui nel particolare, con il videogioco “Dante’s Inferno”, prodotto da Visceral Games e pubblicato da Electronic Arts nel 2010.

Il mondo videoludico, ovvero quel mondo che potrebbe essere definito come nuova arte ed espressione della creatività dell’uomo nel ventunesimo secolo, ha subito nel tempo dei drastici cambiamenti: difatti, è interessante notare come il mutamento dell’opinione pubblica nei loro confronti abbia permesso anche una rapida trasformazione dal punto di vista tecnico e qualitativo degli stessi. Da videogiochi in due dimensioni si è passati alle tre dimensioni, da una resa grafica molto approssimativa si è arrivati a una resa grafica che rasenta il massimo realismo. Allo stesso tempo, però, questo cambiamento non ha riguardato solamente l’aspetto tecnico dei videogiochi ma anche il modo in cui essi vengono tradotti e adattati da una lingua e una cultura alle altre. Difatti, la traduzione e la localizzazione videoludica sono oggi temi di importanza centrale perché muovono grandi flussi commerciali in un mondo sempre più globalizzato in cui la fruibilità di un prodotto in una determinata lingua è, come avrebbe potuto dire Dante, “l’amor che move il sole e l’altre stelle”. A questo proposito, di grande rilevanza è il cambiamento a cui è sottostato il processo di traduzione dei videogiochi, comunque molto interessante e suddivisibile in tre macro-periodi: dagli anni ’70 del XX secolo agli anni ’90; dagli anni ’90 al 2010; dal 2010 verso il futuro.

Nonostante le suddivisioni di questi intervalli temporali siano molto evanescenti, questi tre macro-periodi individuano cambiamenti sostanziali per quel che riguarda il concetto di videogioco ma soprattutto per quel che riguarda la sua traduzione e localizzazione. Di fatto, i primi videogiochi erano installati all’interno di cabinati e presentavano curve di apprendimento talmente ripide da non necessitare di alcuna traduzione da parte delle case produttrici. A partire dagli anni ’70, videogiochi come Pac-Man (1980, Namco) o Space Invaders (1978, Taito) erano infatti così intuitivi che tradurre quelle poche parole presenti su schermo o sullo stesso cabinato non aveva praticamente alcun senso. Tutto cambiò quando iniziarono a nascere videogiochi più complessi sia dal punto di vista tecnico che contenutistico. Dagli anni ’90, le case produttrici di videogiochi cominciarono a ideare storie sempre più originali presentate sotto forma di testi e/o scene parlate; questo avvenimento comportò la necessità di una vera e propria traduzione per i mercati nazionali più grandi, soprattutto i mercati europei. Ad esempio venne avvertita la necessità di una vera e propria traduzione completa di videogiochi come “Spyro: The Dragon” (1998, Insomniac Games) o “Tomb Raider” (1996, Eidos Interactive). Questi videogiochi, più complessi sotto ogni punto di vista, necessitavano di un’adeguata traduzione affinché i fruitori di paesi non anglofoni potessero comprendere al meglio il prodotto. Si passò, dunque, da una quasi totale mancanza di traduzione, periodo che aveva caratterizzato gli anni seguenti la nascita dei videogiochi, alla comprensione della necessità di quest’ultima. Ed ecco che, una volta completato lo sviluppo di un prodotto videoludico, le case produttrici si impegnavano ad affidare i loro prodotti a team che svolgevano servizi di traduzione con lo scopo di immettere i loro prodotti su mercati esteri come quello italiano, spagnolo o tedesco. Come si può notare, tuttavia, la traduzione avveniva a lavoro ultimato, e questo faceva sì che le pubblicazioni estere venissero posticipate, comportando il rischio non indifferente di alimentare i mercati neri e grigi, nei quali i potenziali fruitori di altre nazioni potevano acquisire in maniera più o meno legale i prodotti venduti già mesi prima nei territori nazionali delle case produttrici. A questa problematica si è posto fine negli ultimi quindici anni: di fatto, con il progredire della tecnologia e con il sempre più grande successo riportato dai videogiochi in tutto il mondo, le case produttrici hanno “accettato” al loro interno quelli che si potrebbero definire come dipartimenti di traduzione. Il loro compito è quello di tradurre e localizzare passo per passo i prodotti durante la loro realizzazione. Questo cambiamento rende le cose più semplici sia per traduttori, che si trovano finalmente all’interno del contesto di produzione e che possono quindi esprimere dubbi e incertezze al team di sviluppo (oltre a proporre idee), sia per gli sviluppatori, che possono ormai contare anche sulle opinioni sempre più apprezzate di altri addetti ai lavori come quelle dei traduttori stessi. La traduzione videoludica è così diventata un meccanismo di fondamentale importanza all’interno della produzione stessa di un videogioco, tanto importante da poter cambiare il contenuto del prodotto stesso.

A questo proposito, la traduzione di Dante’s Inferno, gioco del 2010, ricade all’interno del terzo macro-periodo. In particolare, è interessante notare come questo gioco sia caratterizzato da un insieme di “fasi giocabili” e altre fasi “filmiche” in cui sono presenti diversi tipi di testo. Tali differenze inducono un cambiamento obbligato nella traduzione delle stesse, perché le funzioni che sottendono quelle che nel gergo videoludico vengono chiamate “cut scenes”, ovvero le scene animate, sono molto diverse rispetto a quei testi presenti in effettive fasi di gioco. Oltre alle varie e diverse funzioni testuali, è poi necessario ricordare che le scene animate necessitano anche di essere doppiate, dunque il traduttore dovrà tenere a mente le tempistiche e assicurare il corretto inserimento di testi vocali doppiati all’interno del gioco. Come detto, poi, per poter svolgere al meglio una traduzione bisogna sempre tenere da conto la funzione di un testo: e nell’esmpio citato i testi presenti nelle già nominate “cut scenes” presentano una funzione narrativa/dialogica, mentre quelli presenti lungo tutto il gioco possono avere funzioni anche didattico/funzionali.

Bibliografia

  • Bernal-Merino, M. A. On the translation of video games, The Journal of Specialised Translation, JoSTrans, 2006
  • ID. Localisation and the cultural concept of play in games, Gamecareerguide, 2007
  • ID. Translation and Localisation in Video Games. Making Entertainment Software Global, Routledge, 2015
  • Maxwell-Chandler, H. – O’Malley-Deming, S. The Game Localisation Handbook, Second Edition, Jones & Bartlett Learning, 2012
  • McKearny, J. “A new marketing tool : Enanched localization” in Bernal-Merino, M. A. Translation and Localisation in Video Games. Making Entertainment Software Global, Routledge, 2015
  • O’Hagan, M. – Mangiron, C. Game Localization: Translating for the global digital entertainment industry, John Benjamins Publishing Company, 2013
La traduzione videoludica – di Gabriele Forti

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