Nel corso del tempo le arti si sono spesso incrociate tra loro, dando vita a dei veri e propri capolavori immortali. Ad esempio, quando il volto di Marylin Monroe, regina assoluta di Hollywood, è stata catturato dal pennello di Andy Warhol, nel suo celebre “Dittico di Marylin” del 1962. Oppure quando la delicata danza di Yury Grigorovich è stata accompagnata dalle sublimi note del compositore russo Čajkovskij nel balletto del “Lago dei Cigni” al teatro Bolshoi di Mosca. O ancora quando nel 2004 Francesco Guccini ha cantato “Odysseus”, riprendendo le peripezie affrontate dal multiforme eroe creato dalla penna di Omero.

Allo stesso modo, anche il cinema, nel susseguirsi della sua storia, ha partorito una interminabile serie di film, che al loro interno hanno mostrato tantissimi riferimenti alla letteratura, alla pittura o alla musica. Ed anche alla “Divina Commedia” di Dante Alighieri.

Come ha infatti giustamente notato il critico e storico cinematografico Gian Piero Brunetta “all’interno di tutta la galassia narrativa del cinema Dante ha disseminato i suoi sassolini come Pollicino”, essendo la sua figura, e soprattutto la sua opera, ancora oggi fonte di ispirazione per moltissimi registi e sceneggiatori.

Basti pensare ai recentissimi Parasite di Bong Joon-ho e Joker di Todd Phillips, in cui è possibile rintracciare alcuni richiami all’Inferno dantesco.

  • “Parasite”: la legge del Contrappasso secondo Bong Joon-ho

Un capolavoro. Dopo aver conquistato la Palma D’Oro al Festival di Cannes, nel 2020 sono arrivati anche quattro premi Oscar, tra cui quello come miglior film. “Parasite” è, senza alcun dubbio, un vero e proprio capolavoro, una rivelazione, essendo un film che abbraccia tanti generi (la commedia, il dramma, il thriller, l’horror), senza mai perdere ritmo e coerenza.

Ma è possibile che il visionario regista sud-coreano abbia anche attinto dal celeberrimo poema dantesco per realizzare la sua opera? Per un occhio piuttosto maniacale all’interno della pellicola può essere infatti individuato un interessante collegamento proprio con l’Inferno di Dante Alighieri. Una teoria che non risulta affatto così assurda come potrebbe immediatamente sembrare, dal momento che ancora oggi nei Paesi asiatici la “Commedia” sia studiatissima e molto apprezzata. E non solo tra i banchi di scuola.

  • Da dove deriva il termine “parassita”

Il termine parassita ha un’origine antichissima. Deriva dal verbo greco ‘παρα-σιτέω’, che letteralmente significa “mangio insieme con… sono commensale di…”, indicando dunque una persona che mangia a spese di qualcun altro.

Il retore e filosofo Luciano di Samostata, invece, nel suo “De parasito”, attesta a questa parola una sfumatura spregiativa, che si può riscontrare anche nel derivato ‘παρασιτία’, ossia “arte del parassito, bassa adulazione”.

Anche nella lingua latina părăsītus viene inizialmente tradotto come “convitato, commensale”. Dal IV secolo a. C. viene però spesso usato in senso negativo, inteso, per l’appunto, come “parassita; scroccone”, insomma colui che per mangiare gratis ricorre all’adulazione. È possibile trovarlo in questa accezione presso alcuni autori, tra cui Cicerone.

Ed i membri della disgraziata e poverissima famiglia Kim, protagonisti della storia, sono a tutti gli effetti dei parassiti, costretti a sopravvivere di espedienti. Astuti parassiti, che, attraverso l’arma di una melliflua ed ingannevole adulazione, basata su toni lusinghevoli ed artificiosi, tentano disperatamente di migliorare la propria condizione sociale.

Il loro piano è infatti quello di insinuarsi sempre più a fondo nella vita della facoltosa famiglia dalla quale sono stati assunti per lavorare, i Park, per vivere alle loro spalle e godere delle loro fortune (una casa bellissima, dotata di ogni comfort, cibo e bevande di alta qualità).

  • “Parasite” e l’Inferno di Dante

Una misteriosa legge del contrappasso, di dantesca memoria, entra però in gioco sul più bello, in una fredda e burrascosa notte di pioggia. I Kim, mentre stanno gozzovigliando di nascosto nella splendida villa dei loro datori di lavoro, sono infatti improvvisamente costretti a scappare a gambe levate a causa del rientro anticipato di questi per il maltempo.

E così, mentre scivolano via per le strade deserte della città sotto un acquazzone terribile, quello che a poco a poco prende vita sulla scena è un ambiente sempre più spaventoso, che sembra essere perfettamente ricalcato sulla demoniaca struttura dell’Inferno creato da Dante. Il temporale impazza senza tregua, il cielo è del color delle Tenebre, un alto muraglione si staglia tremendo e gocciolante, attorniato da una interminabile scala che precipita verso il profondo. Pare davvero di essere di fronte ad un diretto accesso per gli Inferi. E i Kim, completamente inzuppati, vengono sempre più risucchiati da questo apocalittico scenario. Corrono. Corrono radenti ai muri come topi impazziti, zampettando giù per fiumi di gradini e attraversando umide gallerie, per tornare nel loro degradato quartiere di appartenenza.

Qui, dove le anguste viuzze dei bassifondi sono cosparse di rottami accartocciati su stessi, che si comprimono accanto a sculture di spazzatura, tutto è stato sommerso dall’impeto violento dell’acqua, compresa la loro casa. Una sorta di soffocante covile in un lercio scantinato infestato dagli scarafaggi, dove i vetri delle finestre richiamano ogni sera file di ubriachi a urinarci contro. Fango, sporcizia, liquami marroni che esplodono dal water, ora inondano sempre più le stanze della loro “tana”, fino ad inabissarla sul fondo dell’orribile pantano.

Uno spettacolo raccapricciante, che sembra rimandare a quello descritto nella seconda bolgia dell’ottavo cerchio dell’Inferno, le Malebolge, dove sono puniti proprio gli adulatori, la cui pena è quella di giacere in un fosso maleodorante e incrostato, immersi fino al capo nello sterco (“che sembrava proveniente da latrine umane”). Dalla “Commedia” (Inf. XVIII, 103-114):

Quindi sentimmo gente che si nicchia
ne l’altra bolgia e che col muso scuffa,
e sé medesma con le palme picchia.
Le ripe eran grommate d’una muffa,
per l’alito di giù che vi s’appasta,
che con li occhi e col naso facea zuffa.
Lo fondo è cupo sì, che non ci basta
loco a veder sanza montare al dosso
de l’arco, ove lo scoglio più sovrasta.
Quivi venimmo; e quindi giù nel fosso
vidi gente attuffata in uno sterco
che da li uman privadi parea mosso.

Durante queste inquietanti sequenze la macchina da presa, quasi prendendo ispirazione dalla tecnica illustrativa che Dante utilizza nella sua “Commedia”, si focalizza in maniera piuttosto insistente e ossessiva su qualunque particolare visivo, olfattivo e tattile, per dare maggiore autenticità al risultato finale.

Lo spettatore, infatti, di fronte al concitato svolgersi di questa efficace rappresentazione, non solo rimane fortemente sconvolto e disgustato, proprio come se lui stesso si trovasse in mezzo a quel mefitico acquitrino, ma quasi può percepirne il fetore e la viscosità, soltanto attraverso lo sguardo.

  • La condanna di Bong Joon-ho

Bong Joon-ho condanna fortemente il comportamento dei suoi personaggi. Ed infatti il loro piano è destinato a fallire; ma fallire tragicamente, come una sorta di punizione divina per aver osato una così cospiratoria impresa.

Coloro che, infatti, attraverso metodi scorretti e disonesti, si azzardano a scavalcare i cancelli di un ipotetico “Paradiso” terreno, fatto di benessere e ville ultramoderne, finiscono inevitabilmente col franare tra le schiere dei “dannati eterni” per patire una crudelissima pena. In questo caso la distruzione totale del proprio nucleo familiare (il figlio resta cerebralmente lesionato, la figlia viene uccisa, il padre è costretto a scomparire dalla circolazione per non essere arrestato, la madre dovrà convivere con tutti questi strazianti dispiaceri nel cuore). L’unica autentica ricchezza su cui i Kim potevano realmente contare.

  • “Joker”: un dannato moderno, prigioniero di un moderno Inferno

Il Joker di Todd Philips non è ancora il classico “cattivo” da fumetto a cui siamo soliti associare questo nome. Per quasi tutta la storia quello che abbiamo davanti è, infatti, un semplice essere umano, prigioniero da una parte di una vita decisamente dura e travagliata, dall’altra di un corpo scarnificato fino all’osso, di una magrezza e un lividore sconcertanti.

La sua caratteristica principale è inoltre un tremendo disturbo psichico, che spesso si manifesta improvvisamente sotto forma di una stridulissima ed involontaria risata nervosa. Una risata stridente, incontrollabile ed agghiacciante, sintomo inconscio di una rabbia repressa e di un dolore sconfinato, che gli esplode nella bocca in tutta la sua veemenza nelle situazioni di maggior tensione.

Il personaggio di Arthur Fleck sembra davvero avere tutte le carte in regola, soprattutto dal punto di vista fisico, per incarnare uno di quegli spaventosi dannati, di cui Dante sovrappopola la cavità infernale della sua “Commedia”. La stessa putredine e gli stessi rifiuti, che riempiono gli angoli e le vie della città in cui vive, fanno da cornice ad una sorta di Inferno metropolitano, che non solo assedia il protagonista dall’esterno, ma che costituisce anche il riflesso di quel caos e di quel marciume ancora sopito nella sua mente deviata.

  • La “quête”: verso la ricerca della propria identità

Ed è qui che entra in gioco la quête, termine francese che sta per “ricerca”, intesa come viaggio impostato sul superamento di una o più prove. Un tema largamente utilizzato nell’epoca classica, come nella “chanson de geste” e nel romanzo cortese, fino ad essere ripreso dallo stesso Dante nel suo poema. Un concetto che sembra essere stato adottato, seppur con le dovute cautele, dallo stesso Todd Phillips all’interno della propria pellicola.

Anche il suo Joker, infatti, deve intraprendere una sorta di viaggio (in particolar modo interiore), rivestendo così il ruolo di un pellegrino moderno, non però animato da scopi salvifici o morali, ma dalla vitale necessità di scoprire sé stesso per raggiungere una sperata rinascita dalle gradazioni fortemente spirituali.

Il Joker (o Jolly), si può infatti storicamente ricondurre alla carta del Matto (o Folle), presente ancora oggi nei Tarocchi. Essa assume tutti i significati che sono racchiusi tra l’innocenza e la follia. Si tratta della parte più irrazionale dell’uomo, quella che può condurlo sia verso il Bene, sia verso il Male. E tra le altre sue diverse interpretazioni c’è anche quella di viandante, peregrino, colui che cammina verso il cambiamento per poter arrivare ad un più alto e rivelatorio livello di consapevolezza di sé stesso. Per questo motivo il Matto è spesso raffigurato con un bastone in mano ed un fagotto sulle spalle, in procinto di avventurarsi verso qualche meta lontana.

  • Un inquietante simbolismo numerico

Questo particolare percorso evolutivo, che Arthur Fleck deve (e vuole) affrontare, sembra inoltre essere disseminato non soltanto da una serie di ostacoli da superare, ma anche da un terrificante simbolismo numerico di fondo. Secondo un’affascinante teoria, durante lo srotolarsi delle scene, comparirebbero qua e là, quasi in maniera causale, dei misteriosi numeri, dal 9 allo 0, che parrebbero scandire una sorta di angosciante conto alla rovescia. Un vero e proprio countdown, che scoccherebbe con il primo omicidio perpetrato da Arthur, per poi terminare quando invece la figura di Joker è finalmente venuta alla luce. Ecco lo schema (il metraggio si riferisce a quello del DVD Warner di 2h e 1 min.):

9 (minuto 33) – Arthur compie il suo primo omicidio a danno di tre ragazzi che lo avevano aggredito nella metro, alla 9 Avenue Station.

• 8 (minuto 36) – Arthur entra nell’appartamento 8B della sua vicina di casa, Sophie, dalla quale è fortemente attratto, e la bacia (o, come si evincerà in seguito, immagina di entrare e baciarla).

• 7 (minuto 73) – Dopo aver sottratto all’archivista il dossier riguardante la degenza di sua madre, Arthur fugge dall’Arkham State Hospital, precipitandosi giù per le scale a partire dal 7° piano.

• 6 (minuto 92) – Inseguito dai detective Burke e Garrity, Arthur cerca di mescolarsi tra la folla, per poi salire su un treno della metro al binario numero 6.

• 5 (minuto 93) – I due detective tentano di capire in quale punto del treno si nasconda Arthur, quando un uomo, nella carrozza numero 5, si getta su di loro e parte un colpo di pistola.

• 4 (minuto 95) – Arthur arriva allo studio dove parteciperà al programma televisivo di Murray Franklin, che è lo studio numero 4. Il camerino affidatogli è invece il 404.

• 3 (minuto 102) – Arthur, presentato al talk show in diretta TV come Joker, confessa il proprio crimine (l’assassinio dei tre ragazzi nella metropolitana), mentre viene inquadrato dalla telecamera numero 3.

• 2 (minuto 105) – Dopo che Joker ha ucciso il conduttore Murray Franklin in diretta TV, altri canali televisivi iniziano a dare il resoconto della tragedia, tra cui il notiziario della rete 2WGC.

• 1 (minuto 107) – Joker viene arrestato e trasportato verso la centrale di polizia. Durante il suo tragitto in macchina per strada compare un cartellone pubblicitario del “Ace in the hole”, (“Asso nella manica”). L’asso è la carta numero 1.

• 0 (minuto 112) – Dopo essere stato liberato, il vero Joker prende finalmente vita, venendo acclamato e portato in trionfo dalla folla. Il Joker nei Tarocchi corrisponde al Matto, che ha un valore numerico pari a 0.

Come è risaputo, anche Dante, nell’ideare la struttura della sua “Commedia”, adottò un’evidente simbologia basata sui numeri, anzi, sulla perfezione, secondo l’antica concezione medievale, rappresentata dal numero tre (Trinità cristiana) e dai suoi multipli.  Tre sono infatti le cantiche, ognuna dedicata ad un mondo dell’Aldilà. Trentatré (multiplo di tre) sono, invece, i canti riuniti in ogni cantica, più uno, il primo dell’Inferno, che funge da introduzione all’intera opera. Un totale di cento canti (multiplo di dieci, altro numero dal valore religioso, essendo quello dei comandamenti). Nove (multiplo di tre) sono infine i cerchi dell’Inferno, le zone del Purgatorio e i cieli del Paradiso.

E nove sono anche i momenti topici del film. Nove situazioni cruciali, che sembrano ritmare l’evoluzione di Arthur Fleck, da innocente ed inerme reietto, a Joker, folle creatura omicida e demoniaca. Nove sono perciò le fasi numericamente necessarie (e simbolicamente perfette) per poter completare la propria trasformazione spirituale.

  • Basta solo una piccola spinta…

Ma che cosa accade quando quel cammino, alla ricerca della propria identità, viene infine portato a termine? Non da un cavaliere dai nobili ideali, investito dall’autorità di Carlo Magno o Re Artù, ma da un uomo profondamente malato, infelice, tormentato e sofferente, che fino a quel momento è stato calpestato da tutti coloro che si sono sentiti in diritto di farlo.

Il bruco Arthur Fleck muta così nella farfalla Joker, dopo essersi fatto inondare dal caldo fluido della propria dilagante schizofrenia e aver dato libero sfogo agli stimoli più macabri del suo animo. Non più perennemente masticato e risputato dalla comunità in cui vive, ma libero di volare su di essa e al contempo di ghermirla nella propria letale morsa di vendetta.

Quello che infatti ora porta in viso non è semplice trucco da clown. Non è una maschera che cela il suo aspetto, ma le tinte della sua reale indole che è appena risorta da un sonno primordiale. A dominare ora sulla sua persona è infatti il rosso (sulla faccia, nei vestiti), il colore per eccellenza del fuoco infernale, della passione (intesa qui come feroce istinto animalesco) e della violenza.

Persino quella scala che ogni giorno ha salito con fatica, perché appesantito dal macigno della menzogna, avendo finto di essere quello che non è mai stato, adesso diviene un palcoscenico di impulsi selvaggi su cui ballare con leggerezza, mentre la sua metamorfosi è finalmente compiuta.

Perché, dopotutto, basta solo una piccola spinta…

L’Inferno di Dante nel cinema: alla scoperta di “Parasite” e “Joker” – di Marco Tartaglione

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