Ci viene raccontato che erano quattro. Unici quattro. A loro completa disposizione uno spazio enorme, grande quanto tutto il pianeta. Bello. Lussureggiante. Da esplorare. Da godere. Da ammirare. Eppure non fu sufficiente ai quei quattro per vivere in pace. Un conflitto tra due di loro (si dice fratelli) turbò l’esistenza e… fu guerra.
Da allora, esseri umani sempre più numerosi, ricoprirono il più grande dei pianeti compresi nel sistema solare. Per esplorare? Per godere? Per ammirare? Solo in parte. Troppo impegnati, nel corso della loro evoluzione, a scontrarsi con scaramucce tribali, combattimenti sempre più vasti ed impegnativi ed organizzati in un processo costante da migliaia di anni.
Scorrerie, difesa del territorio, ambizione di conquista, accrescimento e consolidazione di “potere” gli uni sugli altri, grazie ad innovazioni tecniche e tecnologiche sempre più valide, sofisticate e tese al successo adeguato al desiderio di conquista e sottomissione dei vinti da parte dei vincitori.
Armi, corazze, trionfi bellici, sconfitte clamorose entrano pian piano nella memoria e poi nella scrittura, nella celebrazione di battaglie e conquiste – tanto importante è il conservarne traccia nei ricordi umani che essi entrano in ambito musicale, artistico, narrativo -. Manuali di storia informano allievi, a cominciare dalla scuola primaria, su imprese belliche di Assiri, Babilonesi, Ittiti, Ebrei, Macedoni, e poi Romani, e Feudatari, ed Islamici e ancora, ancora… miriadi di uomini che formano stati-nazioni, poi li sfasciano con eserciti agguerriti “l’un contro l’altro armato”, seguendo lo sviluppo tecnologico che si avvale delle scienze pure.
I già citati manuali di Storia per piccoli e più grandi studenti forniscono conoscenza di uomini che si scontrano, si battono con tecniche sempre più sofisticate, con armi sempre più potenti e devastanti. Poi fine del conflitto. Sanzioni. Conta degli ammazzati dell’uno e altro campo. Armistizi. Pace temporanea. E si ricomincia anche su larga scala, se ci si sofferma a considerare che attualmente il pianeta Terra è animato da 59 guerre.
L’ethos della scienza imporrebbe la sua vocazione internazionalistica ad effetti benefici in campo medico, invece che al perfezionamento di armi nucleari o atomiche a discapito del genere umano in occasioni di conflitti.
Nell’ora attuale, sembra, o è realtà, che questo principio sacrosanto e prudente non sia preso in considerazione. Non si tratta più di lance, pugnali, cannoni, carri armati , aerei e bombe. C’è ben altro (del resto già sperimentato tragicamente il 6 e 9 agosto 1945 in Giappone) perché l’intera umanità possa mirare sconsideratamente alla propria estinzione.
Ed io, “parva persona”, quale conoscenza diretta posso avere della guerra? Del secondo conflitto mondiale, che si sperava ultimo in Occidente, non certo consapevole, malgrado l’età. Solo attraverso racconti, letture, documentari, film.
Al momento seguo, con ansia, pena estrema e dubbi spaventosi sulla sua conclusione, quella attuale che sta devastando l’Ucraina, che mi appare un’altra “drôle de guerre”, anche se di “strano” una guerra non ha mai niente. “Guerra” è sempre devastazione, morte, cancellazione drammatica di città intere, terrore, lutti, sofferenza, impoverimento, incertezza che porterà ad altra guerra più o meno lontana.
Seguo con ansia e pena le sorti del Paese attaccato, la tragedia che sta provocando in città intere, a persone intrappolate nei rifugi, sorprese nelle sporadiche uscite pur necessarie, a lacrime sangue speranza in occhi increduli di chi tenta la fuga da tanto orrore verso una via salvifica in altri Paesi accoglienti – sapendo che non sarà possibile ritrovare quel che è stato e sarà ancora distrutto. – Ucraina: territorio lontano da me, riconoscibile solo su carte geografiche o notizie storiche, con la sua Kiev dove nacque la lontana Russia degli zar, il grande giardino botanico, il quartiere Pečersk nella parte alta della città – dove vi nacque Michail Bulgakof o Némirovsky, che in “Sortilège” così lo descrive brevemente: “ con strade fiancheggiate da giardini, l’aria profumata di tiglio, di lillà”. Kiev con la Cattedrale a cupole dorate di Santa Sofia, Via Puskin – il quartiere dei ricchi borghesi russi e dei facoltosi Ebrei che ambivano ad esserne assimilati – , il Podol nella parte bassa e meno fortunata lungo il Dneper, che sfocia con il suo lungo estuario nel Mar Nero, poco lontano da Odessa. Elisavetgrad, vecchio capoluogo dell’oblast’ di Kirovohrad. Il piccolo centro di Nermyrov, nella regione di Podolia… Nomi di luoghi ucraini che “nel pensier mi fingo” dopo l’incontro letterario meraviglioso che ebbi con Irina Nemirovsky, poi Irène Némirovsky – con i dovuti accenti adeguati al “Paese più bello del mondo”, la Francia, dove approdò al termine della fuga da Kiev e che divenne il suo Paese d’elezione.
“Scrittore” amatissimo costei (l’arte non ha “genere”, solo attributi: buono, eccellente, fasullo, debole). Némirovsky è grande. Aver recriminato, goduto, conosciuto – partecipando alle sue vicende attraverso la lettura della sua narrativa – la vita pur breve di tale letterata, mi ha consentito lunghe riflessioni sulla guerra. L’aver pubblicato “Il confine della salvezza”, Ed. Morlacchi, 2014 e “Una vita da romanzo – Un romanzo da film”, Ed. LuoghInteriori, 2016, mi ha arricchita come essere umano e le sono grata. Fortemente significative mi sono apparse le vicende di tale scrittrice, così determinate da guerre, la sua ricerca dello “stagno isolato” nell’ultimo scorcio della sua esistenza. A cosa alludeva? All’Etang Neuf d’Issy-l’Evêque, nel suo “buen retiro” del Bois del Morvan? O il suo inconscio le faceva presagire gli incubi che avrebbe vissuto ad Auschwitz Birkenau?
Némirovsky e la sua scrittura di guerra tra storia e romanzo; la negazione di naturalizzazione francese da parte di Vichy; il Prix Renaudot attribuitole con molto ritardo; la critica riduttiva per la sua presunta “haine de soi juive”, critica pervenuta da un Paese che ha conosciuto “l’invasione”, come guerra, solo con l’attacco alle Twin Towers… il volto d’Irène – in filigrana – si sovrappone al suo travagliato Paese d’origine. Attualmente ancora travagliato.
C’è proprio da meditare sul termine “guerra”.
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