Se guardiamo i Documenti europei a partire dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, detta anche Carta di Nizza, proclamata per la prima volta il 7/12/2000, a Nizza appunto, e una seconda volta il 12/12/2007 a Strasburgo, notiamo che non si fa specifico riferimento alle donne con disabilità, pur evidenziando la “non discriminazione” e nel successivo articolo 26 vi è uno specifico “inserimento dei disabili” pur senza specifica differenziazione di genere, né viene citata la discriminazione sessuale.
Nelle norme e nei vari Trattati si introduce la necessità di attivare tutte le azioni positive necessarie per garantire pari opportunità nel mondo del lavoro per le persone con disabilità.

Tutti i generi e disabilità sono trattati separatamente senza riferimento alle due dimensioni: donna e disabilità. Per riconoscere in modo significativo le condizioni di discriminazione multipla delle donne con disabilità bisogna andare al Piano di Azioni Europeo per l’Uguaglianza di Opportunità delle Persone con Disabilità proclamato in occasione dell’anno Europeo delle Persone con disabilità (2003) che appoggia su tre pilastri fondamentali: lavoro, integrazione e accessibilità.

La Convenzione Internazionale dei Diritti Umani delle persone con disabilità approvata nel 2006 e adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, l’anno successivo, rappresenta un traguardo importante per le donne con disabilità. Per la prima volta in un documento così importante é riportato un articolo specifico. Viene riconosciuto che le donne con disabilità, anche giovani, corrono in tutti gli ambiti della vita, proprio perché donne, maggiori rischi di violenza, nonché di essere dimenticate, trascurate e maltrattate.

Nonostante questa “occhiata” alle normative come breve premessa, apparentemente positiva, la realtà ci dimostra l’esistenza continua di discriminazioni e pregiudizi, ingiusti e ingiustificati che ha privato e priva ancora le donne con disabilità dell’opportunità di competere, in condizioni di uguaglianza, intese come riconoscimento dell’uguale valore delle differenze, quale elemento identificativo di una persona.

È pur vero che le donne con disabilità, storicamente, non sono state considerate soggetto autonomo e di conseguenza esse stesse non si sono mai ritenute persone “con diritti”.

Eppure dobbiamo constatare che più di metà della popolazione con disabilità nel mondo è rappresentata da donne. Nonostante questa percentuale sorprendentemente alta, le donne continuano ad essere isolate e segregate da parte della società, il che produce, ancora oggi, nei loro confronti una condizione di forte discriminazione. Questo significa che se si vogliono dare risposte a queste problematiche è necessario agire nei confronti della persona, quindi a livello individuale, ma anche a livello sociale.

A livello personale vanno attivati dei processi di empowerment che partano dalla consapevolezza di sé, agendo fortemente sull’autostima per giungere, perché no, alla leadership

Questo percorso non deve essere ritenuto “terapeutico”, ma deve enucleare i diritti umani coniugabili con i bisogni, accompagnati da un processo di crescita dell’autonomia e del proprio potenziale. Questo processo va iniziato fin dalla più tenera età con garanzie di poter intraprendere un percorso scolastico e formativo strutturato e ben organizzato.  La cultura e l’acquisizione dei saperi coniugati con il saper fare (skills) sono la premessa indispensabile per consentire alle donne, tutte, e alle portatrici di handicap, in modo particolare, di gestire, controllare e superare le condizioni di discriminazione e vulnerabilità legate alla loro condizione  e talvolta, purtroppo, al genere. Cultura e formazione significa anche consentire l’accesso nel mondo del lavoro per disporre di un reddito sufficiente da “affrancarsi” dalla povertà e dalla dipendenza.

Il livello personale si deve intrecciare con quello sociale attraverso l’approccio che preveda una partecipazione sociale e politica ai processi decisionali, ovvero poter entrare nella gestione degli interessi collettivi, anche dal punto di vista politico.

In conclusione: uguaglianza di opportunità intesa come assenza di discriminazioni e adozione di misure positive volte a compensare gli svantaggi che possono colpire una persona che vive una condizione di disabilità, allo scopo di consentirle di partecipare pienamente alla vita sociale, culturale, economica e politica della sua comunità. 

Infine è necessario garantire il principio di indipendenza come diritto di partecipazione attiva nella comunità di donne e uomini che esercitano il diritto di prendere decisioni sulla propria esistenza, non come una paziente, ma appartenente alla comunità a pieno titolo e avente diritto al libero sviluppo della propria personalità.

Quando la disabilità è donna – di Loredana Bettonte

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