Da qualche decennio questi temi hanno occupato un posto rilevante nei miei pensieri, e non esagero se dico quotidiani. Tuttavia in questo campo, pur trattandosi della mia vita e della mia salute, a tutt’oggi devo ammettere di essere perdente ed ogni giorno mi chiedo perché! Perché non riesco a perdere quei 10, 15 o più kilogrammi che dovrebbero dare una grande svolta alle mie articolazioni e quindi al mio benessere?

Consapevole di essere di fronte a un problema, nel momento in cui è stato fissato questo tema come argomento da trattare in questo semestre per la nostra rivista SpeciaLinguaggi, mi sono trovata di fronte ad un bivio: lascio perdere oppure faccio un breve sunto rileggendo i carteggi che ho collezionato in questi anni predisposti dai professionisti che ho via via consultato e… abbandonato, oppure provo a fare delle riflessioni che (magari!) potrebbero aiutare anche me, nel momento in cui ammetto la mia “colpa” pubblicamente e chissà che non sia la volta buona.

Qualche pensiero sul cibo nella filosofia e nella storia

Ludwig Feuerbach (1804-1872) docente e filosofo tedesco fu subito considerato rivoluzionario per i suoi scritti che ponevano le basi per un forte umanesimo e che sollevavano grandi polemiche negli ambienti culturali. Le tesi dello studioso sulla natura della religione, sui valori dell’uomo vennero recepite da Engels e Marx che da lui presero lo spunto verso un pensiero in grado di comprendere l’uomo nella sua essenza. Feuerbach abbraccia, tra le altre, la teoria filosofica secondo la quale la dimensione corporea dell’uomo deve essere posta come base di partenza per ogni studio. Da qui, quindi, una valutazione simbolica e filosofica anche dell’alimentazione, ovvero dell’atto del cibarsi come essenziale per vivere, non solamente dal punto di vista biologico, ma anche culturale e sociale. Ne consegue che il cibo è un linguaggio nel quale ogni società specchia la propria struttura sociale.

Claude Lévis Strauss, antropologo francese (Bruxelles 1908 – Parigi 2009) è tra gli intellettuali più famosi e iconici di tutto il Novecento. É stato uno studioso stimato in ogni ambito accademico ed ha saputo avvicinare anche il grande pubblico alla disciplina antropologica e alle scienze umane. Scomparso alla venerabile età di 101 anni si occupò attivamente di studi etnologici e antropologici tanto da lasciare un’impronta indelebile ad un’intera generazione di intellettuali. Pur avendo fatto ricerche sul campo è ricordato come un grande pensatore in cui convergono psicologia, storia, filosofia e ovviamente antropologia. Per le sue opere e idee, nel corso della sua carriera, gli saranno riconosciuti infiniti premi e onorificenze in tutto il mondo.

Fu autore della famosa formulazione nota come “triangolo culinario” che suddivide i sistemi alimentari trasformandoli in un modello e nel suo libro “L’origine delle buone maniere a tavola” delinea una vera e propria “teoria delle ricette culinarie”, sostenendo che il cibo colma un bisogno “simbolico”.


Lévi-Strauss, considerando l’arte culinaria di una data società da un punto di vista simbolico, si prefigge di studiarla allo stesso modo del linguista tanto da definire gli elementi costitutivi della cucina “gustemi” proprio come i “fonemi” costituiscono l’unità linguistica.

Sosteneva l’importanza della cucina nell’evoluzione sociale al punto da affermare, ad esempio, che il fuoco nella cottura segna il passaggio dallo stato di “natura” allo stato di “cultura” come modello più avanzato. Anche la scelta di condividere il cibo diviene un messaggio sociale e relazionale, volto anche alla compartecipazione in tutti gli altri comparti della nostra vita, a partire dall’alimentazione.


Se prendiamo questo positivo messaggio di condivisione e lo portiamo al giorno d’oggi dobbiamo constatare che, anziché il “cum – panis” assistiamo costantemente ad uno scontro, forse anche ideologico, ma soprattutto di convenienza economico fra sostenitori del “junk food” cioè cibo spazzatura da una parte e i vegetariani, vegani, eccetera dall’altra.

Al di là delle teorie filosofiche possiamo dire che, fortunatamente oggi, disponiamo di conoscenze migliori dal punto di vista medico/scientifico che ci consentono considerazioni affidabili sulle caratteristiche costituzionali dell’uomo e possiamo utilizzare tecnologie molto innovative di cui la medicina scientifica moderna dispone e che sono alla base del nostro attuale sistema sanitario. Certo è che per godere di uno stato di benessere fisico e psichico, anche l’alimentazione deve essere equilibrata, altrimenti si rischia uno squilibrio che genera malattia. Lo stile di vita, l’alimentazione corretta sono considerati essenziali per vivere in salute. Il cibo di cui ci nutriamo è quindi parte di noi poiché ha un effetto anche spirituale sul nostro organismo. Pare ormai assodato che frutta fresca, verdura, legumi, pochi grassi donino salute, longevità, ma anche gioia e spiritualità.

I primi vegetariani

Tradizionalmente l’iniziatore del vegetarianesimo (o vegetarismo o vegetarianismo) pare fosse Pitagora (filosofo, matematico greco nato nel 580 a.C.) che viene descritto come il primo degli antichi a scagliarsi contro l’abitudine di cibarsi di animali. Secondo lui era eticamente inutile uccidere gli animali, nonché causa di guerre, mentre la terra, da sempre, offre piante e frutti sufficienti a nutrirci. Gran parte degli antichi greci e molti filosofi seguivano la dieta pitagorica e rifiutavano il sacrificio di animali.


Anche Platone (nato ad Atene nel 427 a.C.) nei suoi scritti parla di un’epoca in cui gli uomini avevano particolare rispetto per la vita e non uccidevano gli animali, né per nutrirsene, né per offrire sacrifici agli Dei. 

L’Italia ha ospitato le prime comunità vegetariane riconosciute e ne parla Ovidio (Publio Ovidio Nasone nato a Sulmona nel 43 a.C.) nei suoi versi; interpreta il vegetarianesimo di Pitagora dal punto di vista religioso, partendo dalla convinzione che gli animali dispongano di un’anima come quella degli esseri umani.


Leggendo e studiando questi autori possiamo ben dire che le varie modalità di procurarsi il cibo, dalla caccia, al raccolto, al cucinare vanno oltre la pura lotta per la sopravvivenza. Il procurarsi il cibo è anche un insieme di simboli, valori, cultura. Il cibo ci procura emozione e ci porta ad esprimere bisogni relazionali, di condivisione, appunto come già scritto. Non dovrebbe esserci contrasto né lotta in questa condivisione. La filosofia, in generale, va a ricercare la felicità e per ottenerla si deve incrociare con il benessere. L’alimentazione ci rammenta continuamente che dobbiamo rapportarci con gli altri esseri viventi, con la terra che ci ospita e che invece, oggi, trattiamo da padroni e con le risorse naturali che non sono infinite. Se guardiamo i paesi più poveri dobbiamo riconoscere che assistiamo ad una guerra alimentare perenne per assicurarsi non solo il cibo, ma purtroppo, anche il potere assoluto sui territori e sul cibo stesso.

“L’ uomo è ciò che mangia”

Noi siamo quello che mangiamo, diceva il filosofo tedesco Ludwig Feuerbach. Non vi è dubbio che questo aforisma sia molto conosciuto ed è entrato nell’uso comune, forse senza vera consapevolezza del suo significato. Leggendo Feuerbach, ma anche molto degli odierni filosofi o studiosi della storia della filosofia ci vengono indicati tre ambiti di riflessione per facilitare la nostra comprensione:
il primo è l’osservazione della assonanza fonetica che esiste nella lingua tedesca fra ist (terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere – sein) e isst (terza persona singolare del verbo essen, mangiare): un gioco linguistico: der Mensch ist was er isst;

il secondo ambito e dimensione di senso va verso l’affermazione che il nostro organismo assimila continuamente le sostanze ingerite e quindi noi diventiamo “sostanza” grazie alla digestione e all’assimilazione. Ne consegue la consapevolezza che mangiare in modo sano dovrebbe essere la normalità per godere del benessere. Del resto se osserviamo gli spot pubblicitari moderni ci accorgiamo subito che i loro messaggi sono indirizzati proprio in questo senso, richiamando al benessere e alla gioia di vivere e divenendo le caratteristiche principali del marketing;

nel terzo livello interpretativo scopriamo che l’uomo è ciò che mangia nel senso che l’umanità si è costruita la propria identità sociale e culturale anche attraverso il valore del cibo, non solo dal punto di vista biologico, ma anche in una dimensione spirituale e simbolica. Di qui le consuetudini, ma anche i divieti scaturiti dalle culture o dalle religioni. Talvolta con queste tendenze o stili alimentari si sono costruite le prime grandi comunità: vegetariani, vegani, fruttariani, crudisti, pescetariani, respiriani, flexitariani, reducetariani, eccetera.

 Man mano che ci si addentra in queste letture ci si pone inevitabilmente la domanda: se una persona mangia ciò che mangio io allora è come me? Dal momento che abbiamo molte cose in comune fra le quali anche le abitudini alimentari, abbiamo una cultura alimentare in comune, allora il cibo è cultura, nel senso che concorre alla nostra evoluzione intellettuale e morale oltre che fisica naturalmente. Appare chiaro quindi che non è più solo l’atto del mangiare, del nutrirsi, del gustare, ma scatta una nuova dimensione sia spirituale che fisica (o meglio sensoriale) che stimola i nostri desideri.

 L’aforisma “siamo ciò che mangiamo” investe oggi altri fondamentali ambiti come la questione ambientale, la globalizzazione e il consumismo, l’intelligenza artificiale e tutto ciò che ne consegue e che ancora non conosciamo bene.


I novelli food

I novelli food sono alimenti di nuova concezione, prodotti mediante evolute tecnologie e Innovativi processi di produzione. Sono alimenti introdotti nella Comunità Europea nel 1997 con il primo Regolamento Europeo. Vi sono centinaia di esempi di questi prodotti nuovi come l’uso degli insetti, vari tipi di semi, polpe, oppure prodotti geneticamente modificati. Questo è un elenco che continua ad aumentare e pare sia una tappa necessaria per trovare nuove fonti di nutrimento in favore della sostenibilità.


Conclusione

Abbiamo capito che migliorare l’alimentazione significa migliorare la vita ,ma è altrettanto chiaro come un po’ di buona volontà non può bastare perché gli automatismi sono duri a morire. Dobbiamo e vogliamo, anche, mantenere il piacere che si prova attraverso il cibo in quanto relazione con la vita.

Il tempo in cui viviamo non è semplice; dovremmo accettare o imparare noi stessi, come pure insegnare ai bambini, che i prodotti della terra sono nutriti dall’acqua, dal sole e che noi tutti dovremmo aiutare la natura per metterla in condizione di esprimere tutte le sue potenzialità. Forse basterebbe poco per donare salute e benessere ai nostri corpi e anche alle nostre menti, invece talvolta li facciamo diventare “contenitori di spazzatura”: da qui all’obesità il passo è breve.
Ognuno di noi dovrebbe educare ed indirizzare il pensiero verso ciò che è buono e sano e avere rispetto per il corpo imparando ad ascoltarne e riconoscerne anche i segnali e i bisogni.

Ce la farò mai?

Chi scrive è consapevole di quanto tutto questo sia difficile e troppo spesso si è sentita dire: “predichi bene e razzoli male”!

É evidente che molte sono le resistenze poiché la dieta appare sempre come un periodo di frustrazione oltre che di privazione. La sottoscritta ha studiato per molti anni le dinamiche dei processi di apprendimento e sa che il cervello fatica ad adattarsi ai cambiamenti e preferisce il conosciuto rispetto al nuovo. Sappiamo che il cervello dell’uomo è sensibile alle ricompense immediate e fatica a comprendere i benefici di scelte a lungo termine. Anche l’impazienza ostacola certamente l’inizio di un nuovo regime alimentare e pregiudica il suo successo.

Cambiare le proprie abitudini è davvero difficile. Forse introdurre questi cambiamenti un po’ alla volta faciliterebbe il loro consolidamento, come il darsi obiettivi più piccoli come “il famoso chilo al mese”. Sicuramente è necessario “ripulire il frigorifero” acquistando solo il necessario… o il concesso! Insomma: “occhio non vede, cuore non duole!”. Ce la farò mai…?

E va bene… parliamone. Cibo, alimentazione e… – di Loredana Bettonte

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