Carlotta Lay, col marito Francesco Murru e Lauretta, il fratello più piccolo Mario Lay e le due donne di servizio, di cui Clara Pireddu resterà con la famiglia fino alla morte, salgono in carrozza.
Dalla casa dell’elegante Corso Vittorio Emanuele, quasi prospiciente San Francesco, la più bella Chiesa di Cagliari, la famigliola si sposta nella grande e comoda casa di “Santa Tennera” (intitolata a “Laura”, unica figlia dei coniugi Murru Lay), a respirare aria di campagna, dove la borghesia cittadina ha costruito le sue ultime ville ai piedi del Colle di Tuvixeddu. La famiglia era solita andare in Sant’Avendrace per trascorrere il fine settimana, ma, alla fine della prima guerra mondiale, decise di trasferirsi definitivamente nella casa di campagna che divenne la sua residenza col travaso, però, dei mobili eleganti della casa del Corso V.E.
Arrivati alla Croce, Sant’Avendrace si presentava come una lunga strada che va verso l’uscita della Città fino alla Casa Cantoniera. Si poteva vedere allora, verso il 1906 – 1910, una lunga teoria di casette linde multicolori, alcune pretenziose con motivi di decorazione liberty, anche a due piani e talune Ville con giardino costruite prima che diventasse di moda Viale Merello. Ogni casetta aveva il suo orticello nel quale cresceva il famoso “pillon’e Santa Tennera” (il cardo selvatico), offerto nelle osterie, insieme al pesce fresco, il vino di proprietà e il pane particolarmente buono. Infatti, l’occupazione principale delle donne del popolo era quella di panatare e degli uomini quella di pescatori. Nella Villa Laura andarono a vivere in seguito anche Laura Murru col marito, il radiologo prof. Didaco Cossu, che ebbero due figli: Francesco (anche lui radiologo) e M. Giuseppina (Direttrice della Biblioteca Universitaria di Cagliari e terza Presidente dell’Associazione Amici del Libro).
Anch’io ho conosciuto, come penso molti cagliaritani, l’aspetto di Sant’Avendrace con le case basse fino a quando iniziò la trasformazione voluta dai nostri amministratori in una strada a portici proprio nel periodo in cui mi sono sposato e sono andato a vivere con mia moglie, Maria Giuseppina Cossu, nella grande casa di 24 stanze della sua famiglia, dove ho trascorso la maggior parte della mia esistenza, mia moglie c’è nata e i nostri figli ci sono cresciuti fino al loro matrimonio.
Ricordo che, quando avevamo ospiti importanti a pranzo o a cena e venivamo presi alla sprovvista, andavamo da Giacomino che insieme alla cuoca (Signora Carlotta), sempre disponibile, ci preparava gentilmente dell’ottimo pesce arrosto per gli ospiti.
Carlotta Lay aveva voluto fare cosa gradita al marito di Usellus, che aveva nostalgia della campagna. Lei, invece, era cagliaritana doc. Suo padre, Agostino Lay Rodriguez, apparteneva da parte della madre, Donna Rachele Rodriguez, a una delle più antiche famiglie di Cagliari, i Rodriguez.
L’antenato più importante era Don Salvador Rodriguez di Benetutti, Dottore in Diritto, Notaio Pubblico, Segretario della Rl Amministrazione, che ottenne il privilegio del Cavalierato ereditario il 30.12.1693 da Carlo II Re di Spagna – ASC H49, L62.
Agostino Lay Rodriguez era molto amico di Efisio Marini ed eseguì la fotografia di Pietro Martini pietrificato. Efisio Marini è il protagonista di una serie di romanzi dell’oculista scrittore Giorgio Todde; a Napoli gli è stato dedicato un Museo per le sue opere pietrificate. A dimostrazione che i sardi sono pochi e forse per questo è facile trovare relazioni di parentela, ho scoperto che il fratello maggiore del mio bisnonno, il medico Pietro Pinna aveva sposato Tomasa Marturano, sorella di Fidelia, la madre di Efisio Marini. Non meno importante era l’attività di Agostino Lay Rodriguez, che fu il primo, insieme al pittore fotografo Arui, a introdurre a Cagliari le prime fotografie a colori.
Immagine 8 – Premio ricevuto da Agostino Lay Rodriguez all’Esposizione Universale di Vienna del 1873 (18.8.1873)
La fama di Agostino Lay Rodriguez non si fermava a Cagliari e, infatti, il suo nome figura anche in un libro importante come quello di Piero Becchetti: “Fotografi e fotografia in Italia” 1839-1880 – Edizioni Quasar 1978 – Pag. 59.
Quindi, la famiglia, dopo aver abitato per diversi secoli in Castello, dove a un certo punto i Rodriguez avevano tre palazzi, si stabilì in Piazza Yenne dove Agostino aveva anche lo stabilimento fotografico e, poi, agli inizi del 1900 si trasferì nel Palazzo del Corso Vittorio Emanuele (attuale n. 69), dove alla Famiglia di Agostino Lay Rodriguez si era unito il nucleo familiare del suo cugino e amico, il protonotaro apostolico, canonico Mons. Gioacchino Manurritta (nipote del Vescovo d’Ogliastra Mons. Giorgio Manurrita), con le sue due sorelle suore, Ciccita e Antonica, al rientro da New Orleans, dove l’intraprendente e attivissimo canonico domenicano, dopo la soppressione degli Ordini religiosi avvenuta nella seconda metà dell’Ottocento, si era recato a fondare una Missione costruendo la Chiesa di Sant’Antonio, per aiutare soprattutto gli emigrati Usticani, difendendoli dalla nascente mafia, che a un certo punto, per la sua attività a favore della povera gente, lo minacciò di morte.
Ormai anziano il canonico, con le due sorelle e la nipote Carlotta Lay, decise di tornare a Cagliari. Carlotta Lay l’aveva raggiunto a New Orleans, accompagnata per il viaggio dal padre Agostino Lay Rodriguez, per aiutarlo a chiudere l’attività della Missione. Lì Carlotta aveva imparato l’inglese degli americani, era assistita per le faccende di casa da una coppia di servi di colore, aveva perfezionato lo studio della musica con l’insegnante di pianoforte, che aveva già iniziato a studiare a Cagliari sotto la guida del cognato Antonio Rachel, tant’è che l’8.9.1900, durante la traversata da Napoli a New York col transatlantico, dopo molte insistenze, aveva accompagnato ottimamente al piano in alcuni brani della Norma la cantante lirica Anita Socola, che si stava recando in tournée a Lima in Perù; a New Orleans, poi, aveva conosciuto l’inizio della favolosa svolta della musica con il Jazz, come riferiva nelle sue lettere.
Di quel periodo così importante per la storia della famiglia e non solo, mia moglie Giuseppina conserva un ricchissimo archivio con la corrispondenza intercorsa tra i parenti che stavano a New Orleans e quelli che vivevano a Cagliari. È, poi, importante pensare, per la storia della fotografia in Sardegna, che probabilmente Agostino Lay Rodriguez, essendo andato anche personalmente in America per accompagnare la figlia Carlotta, abbia lì avuto l’opportunità di aggiornarsi per il suo lavoro. Certamente aveva nel suo studio una statua che era stata portata dall’America e che utilizzava per le sue fotografie, che noi abbiamo sempre chiamato “Monkey Boy”, ovvero tradotto letteralmente: “scimmia ragazzo”. Osservando bene la statua, appare come una scimmia postino, perché ha a tracolla una borsa con le lettere da consegnare.
Mons. Gioacchino Manurritta, rientrato a Cagliari, si distinse per le opere benefiche a favore delle persone bisognose e della città, come per il contributo dato per la costruzione dell’Ospedale Civile San Giovanni di Dio.
Dopo la prima guerra mondiale, quindi, la famiglia di Carlotta Lay, già descritta all’inizio, preferì trasferirsi stabilmente nella più comoda casa di Sant’Avendrace, mentre in seguito nel palazzo del Corso Vittorio Emanuele, oggi n. 69, aprì uno dei primi studi radiologici suo marito, il prof. Didaco Cossu, che aveva perfezionato i suoi studi di medicina specializzandosi in Radiologia con valenti maestri a Roma, dove aveva conosciuto anche la mitica Madame Curie. Egli fu il primo a dirigere a Cagliari nell’Ospedale Civile il Reparto di Radiologia, che si trovava vicino alla Cappella. Dato il suo valore e la sua notorietà, la Villa viene ancora spesso chiamata anche Villa Cossu.
Contemporaneamente alla permanenza della famiglia Cossu Murru e anche dopo, la casa ha ospitato la nostra famiglia Pinna Cossu finché, in seguito ai molti vincoli applicati sulla casa, non potendo noi fare i castellani, avendo quattro figli, verificatasi l’opportunità di cedere Villa Laura alla Regione per l’interesse di farne la porta del Parco Archeologico di Tuvixeddu dal Viale Sant’Avendrace, decidemmo, in qualità di eredi Pinna Cossu di Laura Murru, di cederla alla Regione, con un complesso procedimento iniziato con il Presidente Soru nel 2008 e concluso con il Presidente Cappellacci nel 2009, avendo interpretato anche la volontà della precedente proprietaria, Laura Murru, ormai scomparsa nel 2005, che non avrebbe mai voluto che fosse demolita.
Villa Laura e la Massoneria
La Villa merita di essere ricordata ancora perché durante il periodo del Fascio, quando il Regime si mostrò intollerante nei confronti della Massoneria, il suo archivio, o una sua parte venne nascosto, forse prima nella vecchia casa del Corso Vittorio Emanuele, oggi 69, e poi nella cantina di Villa Laura. Successivamente, cessato il pericolo del Fascio, per quel che ci risulta, intorno al 1980 la maggior parte dei documenti di quell’archivio, ormai in brutte condizioni, deteriorati dal tempo e dalle intemperie, vennero consegnati, tramite il signor Oliviero Maccioni, che li aveva utilizzati per una sua pubblicazione sulla storia della fotografia in Sardegna (“Cagliari tra cronaca e immagini” in due volumi), al Dott. Giovanni Todde, allora Sovrintendente Archivistico per la Sardegna. Lo zio di Laura Murru, Mario Lay, un pilastro della nostra famiglia, un galantuomo d’altri tempi, era, infatti, uno dei maggiori rappresentanti della Massoneria cittadina, di ideali mazziniani e risorgimentali; insieme ad altri cagliaritani, tra i quali il padre dell’avv. Enrico Endrich, Ferdinando Endrich, era stato tra i fondatori del Partito Repubblicano cittadino, come si può leggere in questo elenco istoriato, già pubblicato per concessione di Laura Murru dall’avv. Enrico Endrich nel suo libro postumo: “Cinquant’anni dopo”.
La Villa emerge a metà Colle, costruita verso il 1906 arretrata rispetto al Viale per rispettare la palma ivi preesistente.
Così la vedeva il 2° Presidente degli Amici del Libro, prof. Antonio Romagnino, in uno dei suoi ricorrenti articoli su L’Unione Sarda, nei quali cercava di insegnare ai concittadini il gusto democratico di rivolgersi a tu per tu senza complessi anche nei confronti dei governanti, imparato durante la sua prigionia di guerra in America, ma era anche capace di espressioni di fine poesia, come in questo caso:
“La Villa Murru Cossu alta sul colle, fra superbe palme, con la raffinata terrazza guardata da quattro candide immagini delle stagioni, rossa come imbevuta dall’incendio dei tramonti di Santa Gilla.”
Oggi, pur non essendo più i proprietari, si stringe il nostro cuore vedendo le due palme distrutte dal “punteruolo rosso”. Anche la Villa sta morendo: passando abbiamo notato che ha ceduto un pezzo della terrazza e sono cadute alcune colonnine sulla destra.
Il favoloso giardino, che si sviluppa su ben quattro o cinque piani per complessivi circa 4000 mq, appare abbandonato rispetto a quando ci vivevamo noi, ricco di alberi, arbusti e fiori, appariva come un vero e proprio orto botanico, quando veniva curato. A parte la manutenzione ordinaria dei diversi giardinieri che si sono succeduti nella sua cura, per avvenimenti particolari (nozze, lauree e altre feste importanti) si procedeva a interventi eccezionali. Anche per la casa venivano assicurati l’ordinaria manutenzione e certi interventi straordinari come per l’impermeabilizzazione del tetto, o il rifacimento del sistema fognario, elettrico e idrico del giardino.
Villa Laura, ormai bene pubblico di inestimabile valore per quello che ha rappresentato e per la funzione che potrebbe avere per sé, ma anche di stimolo per la realizzazione del Parco Archeologico di Tuvixeddu, va tutelata con un adeguato restauro e un’opportuna manutenzione, come è richiesto per qualunque immobile.
Quadro di Evaristo Pinna eseguito con colori acrilici su cartone telato, dal quale è stata ricavata gratuitamente una cartolina degli Amici del Libro per l’Anno Sociale 2014-15, che è stata distribuita ai soci, agli oratori e alle autorità, impreziosita da un annullo filatelico postale in quello stesso anno sociale, 70° anno dalla fondazione dell’Associazione. Lunedì 1° dicembre 2014 lo scrivente con la professoressa Maria Antonietta Mongiu e il prof. Franco Masala tenemmo una conferenza dal titolo: “Villa Laura, Porta di Tuvixeddu” per gli Amici del Libro nella Sala Settecentesca della Biblioteca Universitaria di Cagliari in Via Università n° 32, mentre dirigeva l’Associazione la quarta Presidente, professoressa Maria Grazia Vescuso Rosella.
Villa Laura nella letteratura
La Villa è entrata anche nella letteratura:
- In “Stampace”, volume della serie dei Quartieri storici di Cagliari, pubblicato a cura del Comune di Cagliari, 1995, ci sono riferimenti a pag. 12 (per la collina di Tuvixeddu), pag. 78 n. 136, pag. 142 n. 142 (Una veduta della Villa Cossu-Murru, l’unica rimasta lungo il viale S.Avendrace. In secondo piano l’insediamento rupestre di Tuvixeddu), pag. 150 n. 296 (“Villa Cossu-Murru. Pianta principale e prospetto. È l’unico edificio di questo tipo rimasto nel Viale Sant’Avendrace dopo la demolizione delle ville vicine, sostituite a metà degli anni Sessanta dagli odierni edifici condominiali a pilotis”).
- In “Cagliari e il suo volto” Vol. 2° di Fernando Pilia – Carlo Delfino Editore, 1996 – A pag. 425 n. 614 – La muraglia con le vecchie casette e Villa Laura.
- In “S’antigoriu de Santa ‘Rennera – Gianni Trois Editore Cagliari, 1996, Giovanni Cocco Gino, originario di Sant’Avendrace, illustra il Rione di Sant’Avendrace, Su brugu de Santa ‘Rennera, in modo ingenuo, immediato ed efficace, in lingua sarda e italiana, con quello spirito genuino di cui è capace l’anima popolare.
- Ricordo la visita di Francesco Masala col suo amico Aquilino Cannas, che dopo aver visitato la Villa in ogni suo angolo, se ne andò commosso, quasi con le lacrime agli occhi e dedicò alla padrona e alla sua casa un fantasioso racconto su “S’Ischiglia”: “Sa domu de is animas”.
La descrizione di Villa Laura
Per descrivere il giardino e la Villa, per non annoiare i lettori, eviterò una meticolosa elencazione degli alberi e degli ambienti, fermandomi solo sui punti più importanti.
Si entra in Villa Laura dal Viale Sant’Avendrace n. 121. Davanti alla Villa c’è ancora un resto dell’antico “Porto Cartaginese”, (ovvero per chi non ha questo ricordo “La muraglia”).
Alla muraglia si accede salendo una breve scaletta, che si può notare anche in altri edifici più antichi sopravvissuti e sparito del tutto nei nuovi palazzi a portici. Gli alberi erano scomparsi da un pezzo, fatta eccezione per uno vicino all’edicola del signor Bertolino e l’ampio giardino di Villa Laura. Saliti sulla “muraglia”, si entra nella Villa attraverso un bel cancello in ferro battuto e pomi d’ottone, opera premiata dell’artigiano Enrico Loddo.
Si entra in un primo piano di giardino, dove si nota un pozzo a sinistra vicino alla casetta del Viale Sant’Avendrace, 123, che fa parte del complesso di Villa Laura.
Verso il centro una palma.
A sinistra c’è una scaletta con dei pilastri ai lati sormontati prima da due vasi e poi da due puttini, salita la quale, si arriva a un secondo piano di giardino.
A sinistra c’è un agrumeto e a destra un bell’ibiscus e la grande palma, più antica della casa, che indusse Carlotta Lay a costruirla più arretrata rispetto al Viale.
In un ampio pianerottolo, con a destra due stanze con finestre sul giardino, aprendo un grande cancello, si sale una lunga scala di 20 gradini in graniglia che porta al primo piano, emergente rispetto al piano terra, si trova a sinistra un altro giardino con un boschetto di pittospori, un melograno, una buganvillea, altre piante e fiori, al centro una fontana e a destra una voliera.
A sinistra ci si immette in un’ampia terrazza balaustrata con 4 candide statue delle stagioni, che circonda la facciata (per 17 metri) e le parti laterali anteriori della casa.
La Villa si sviluppa in un piano terreno e tre piani superiori, con complessive 24 stanze ed è stata costruita rispettando le preesistenti tombe fenicio-puniche, i cui reperti sono stati consegnati dalla famiglia Pinna-Cossu alla Sovrintendenza Archeologica della Sardegna, che dovrebbe riportarle alla Villa quando verrà restaurata e adibita alle sue funzioni di Porta di ingresso per il Parco di Tuvixeddu, unico accesso previsto come possibile dal Viale Sant’Avendrace.
Entrando nella casa, dalla sua parte sinistra, dall’ingresso secondario abituale, si trova una stanza, un tempo arricchita da due importanti monumentali casse sarde, altri mobili e suppellettili antiche. In questo piano i soffitti sono alti più di quattro metri.
Salendo pochi gradini a sinistra si arriva in un’anticucina dove si può ammirare un monumentale caminetto abbellito con le mattonelle di ceramica dipinte a mano, provenienti dalla casa del Corso V.E., conservate un tempo in giardino e in cantina, con le quali sono stati realizzati sulle pareti quasi degli arazzi di pietra. Alle pareti, inoltre, erano appesi recipienti di rame e altri da cucina, regalati, insieme a due alveari, agli attrezzi e alla biblioteca di agraria di mio padre, al Museo del Convitto Agrario in persona del Preside Prof. Vittorio Porcelli, frequentato da giovane da mio padre, che compare come allievo anche in un manifesto realizzato in una ricorrenza dello stesso Convitto.
Tornando alla stanza d’ingresso, si può continuare a destra nel soggiorno.
Proseguendo, a sinistra si entra nel salotto.
Il salotto nella stanza al centro della casa del primo piano, preceduto dal soggiorno e seguito dal salone, avrebbe dovuto essere l’ingresso principale nella cui terrazza antistante avrebbero dovuto confluire due grandi scaloni. In realtà si costruì un’unica scala di accesso.
Gli affreschi del maestro Giuseppe Citta
Nel soffitto si possono ancora ammirare gli affreschi del Maestro Giuseppe Citta, lo stesso che eseguì gli affreschi di Palazzo Merello e della volta del vecchio Municipio di Quartu Sant’Elena, le cui riproduzioni fotografiche sono state esposte in una giornata dei Monumenti aperti a Quartu Sant’Elena, grazie all’attivissima e competente dott.ssa M. Paola Loi, allora Assessore alla Cultura di quel Comune.
Nel soffitto a pagoda s’incrociano delle aste bianche disegnate in finto risalto con disegni ovali agli angoli. All’interno dei fili interrotti da quadrati, mentre nei rettangoli esterni tre fili si arricchiscono agli estremi di fiori stilizzati. Dal soffitto pendeva un raffinato lampadario in cristallo di Boemia.
Si prosegue nel salone.
Procedendo oltre a sinistra si entra nel grande salone (in pratica, grande quanto due stanze).
Il salone prende luce da due grandi finestre e da una porta finestra attraverso la quale si accede lateralmente alla terrazza.
Era il salone delle feste, con importanti consolle e grandi specchi con le cornici ricche e dorate, il pianoforte, il grande divano, le poltrone antiche, gli angoli con tavolini importanti utilizzati da Agostino Lay Rodriguez nel suo studio, i tappetti persiani.
Qui nel soffitto a pagoda i disegni stilizzati si arricchiscono di curve, cerchi, festoni e motivi arborei verdi e strisce e curve marroncine su cui spiccano delle rose stilizzate. Dal soffitto pendeva un grande lampadario monumentale di Capodimonte.
Proprio con una grande festa in questo favoloso salone, alla quale Giuseppina gentilmente mi invitò quando eravamo colleghi alla Facoltà di Giurisprudenza di Cagliari, iniziò la mia frequentazione di Villa Laura (Giuseppina mi dice che fu l’unica festa che organizzò nella Villa). Mi divertii molto e invitai a ballare spesso la mia futura moglie, Maria Giuseppina Cossu, ma anche sua madre, Laura Murru, la padrona di casa, che mi trovò moderno e spigliato e così mi raccomandò alla figlia. In realtà la mia spigliatezza forse era dovuta a qualche bicchierino in più e, quanto a modernità, sono sempre stato piuttosto tradizionale e legato alle cose antiche, ma il matrimonio si fece il 19.7.1969 e nacquero poi successivamente una bambina, Laura, e tre maschietti, Antonio, Marcello e Stefano, vissuti, si può dire fino ai loro matrimoni, anche loro in Villa Laura.
L’epopea della famiglia nel racconto di un suo componente: Marcello Serra
In queste stanze del primo piano: il soggiorno, il salotto, il salone, che si aprivano a formare un unico ambiente e si estendevano sull’ampia terrazza, sembra di sentire ancora gli echi delle feste con i parenti Lay, Rachel, Danova Tramer, Serra, Loffredo, Aru, Besson e altri, con la padrona di casa, l’aristocratica Carlotta al piano, come ricorda il suo nipote Marcello Serra nel suo fortunato libro: “L’aurora sui graniti è rossoblu”, nel quale l’autore riuniva l’epopea della squadra di calcio dei tempi di Gigi Riva con i ricordi della sua Cagliari e della grande famiglia alla quale anche lui apparteneva. Così scriveva: “Questa famiglia, tutta di musicisti, da sola può costituire un’orchestra intera. Ed infatti, nelle assemblee collettive, quando cioè il parentado al completo si riunisce, in alcuni giorni solenni dell’anno a Sant’Avendrace, nella grande villa con giardino della zia Carlotta, che può ospitare tutto il “clan” familiare, essendo ciascuno in grado di suonare uno strumento non mancando le belle voci femminili e maschili, si può assistere a magnifici concerti e spesso all’esecuzione di un’opera lirica dalla prima all’ultima nota.”
La prima parte della monumentale scala liberty all’interno della villa, con i gradini di marmo e la balaustra in ferro battuto con il passamano in noce, che porta al 2° piano, dove si trovano le stanze da letto e lo studio.
Anche nello studio si possono ancora ammirare gli affreschi del Maestro Giuseppe Citta. Vi compaiono, oltre disegni lineari e floreali, delle facce stilizzate.
Uscendo dalla parte posteriore della Villa si vede la parte del terreno che sale sul Monte, nel quale si aprono i fossi delle tombe fino a un cancello e a un muro che segnano il confine con la Necropoli Punica davanti e a destra.
A sinistra un altro muro e piante segnano il confine con il Vc. II Sant’Avendrace, nel quale potevano uscire gli abitanti della casetta (facente parte del complesso di Villa Laura) di Vc. II Sant’Avendrace n. 11.
Speriamo che venga attuato senza indugio il restauro di Villa Laura e porti un po’ di speranza, aprendo la strada al recupero di tutta la Necropoli, con la realizzazione del Parco Archeologico, per i Santarennesi, per i Cagliaritani, per i Sardi, per quei turisti colti, che, quando era libero l’accesso al Monte, con fatica riuscivano ad arrivarci, provenendo dalla Via Falzarego, o salendo la lunga scala del Vicolo II Sant’Avendrace.
La Villa Laura è inserita in un complesso archeologico, edilizio di grande interesse; si trova tra le case del “Monte” la Villa ex Serra Sanna, vicino alle quali si trova la Tomba di Rutelio, e sul Viale la “Grotta della Vipera”, salvata dalla distruzione per l’intervento provvidenziale del benemerito generale, grande amico dei sardi, Alberto Lamarmora.
Tornando a Villa Laura, prendendo una scala all’ultimo piano, si può salire su un terrazzino centrale, dal quale la vista spazia a 360 gradi: a occidente si può ammirare la laguna di Santa Gilla, dove era in origine il corpo principale della città di Cagliari prima di venire trasferito in Castello.
A oriente si può ammirare la bianca Necropoli di Tuvixeddu con le sue “orbite vuote” (v. Cenza Termes), sulla quale si staglia la verde silhouette del giardino della Villa Mulas Mameli, antico maniero che si erge sulla destra.
Villa Laura è, quindi, una villa che ha una sua storia e nelle sue stanze sembrerà forse di sentire ancora le voci dei suoi abitanti, le loro abitudini, i loro ricordi, che ci fanno tornare indietro a tempi lontani, non di chi sfruttava la povera gente, ma di persone operose che hanno sempre anteposto il bene pubblico ai propri interessi personali. La sua storia si trova già in parte scritta in libri e giornali. Speriamo che possa sempre restare quella grande e bella casa, di cui i Santarennesi sono orgogliosi e l’hanno dimostrato trattandoci sempre con discrete attenzioni, sentendoci dei loro, soprattutto per rispetto della professoressa Laura Murru, che non mancava di ascoltarli e di aiutarli: mi risulta che se capiva che un commerciante era in difficoltà era capace di andare ogni giorno a comprare qualcosa, anche se non necessaria, pur di aiutarlo; come pure, se sentiva il desiderio di dipingere uno scorcio di Sant’Avendrace non si faceva scrupolo di chiedere ospitalità nella casa più adatta, dove sapeva di essere sempre ben accolta.
I nostri personaggi riposano nel Cimitero Monumentale di Bonaria nella Cappella Manurritta Pintor Lay.
La Cappella è dedicata a San Domenico. Nella tomba centrale ha trovato posto il domenicano canonico protonotaro apostolico Mons. Gioacchino Manurritta.
Ai due lati sono sepolte le sue sorelle, suore di clausura, Ciccita e Antonia.
Predi Cossu, come veniva chiamato dai suoi parrocchiani, fratello maggiore di Didaco, fu autore di molte pubblicazioni, prediche in sardo, corrispondenze con molti intellettuali del tempo (che oggi si trovano depositate e catalogate nella Biblioteca Universitaria di Cagliari) e del primo lavoro sul folclore sardo con la bella copertina di Remo Branca.
Nella Cappella sono stati accolti molti altri parenti grazie alla generosità di Carlotta Lay prima e di Laura Murru poi. Continueranno a parlarsi? Ricorderanno i vecchi tempi? Ricorderanno le belle serate musicali a Villa Laura?
Ho letto con tanta attenzione il suo racconto, ricordando solo alla fine che cercavo notizie di Agostino Lay,del quale ho diverse fotografie realizzate presumo a Cagliari nel suo studio.Purtroppo non ho indicazioni riguardo ai personaggi ritratti
Complimenti veramente e grazie per la condivisione.