In un’era sempre più globalizzata, capita quotidianamente di imbattersi in un messaggio pubblicitario. Risulta, pertanto, inevitabile considerare la pubblicità parte integrante della nostra vita. A partire dagli anni Sessanta, tale fenomeno è stato oggetto di numerosi studi da parte dei linguisti che hanno descritto questo originale complesso sistema di segni linguistici e visivi come “una specie di lingua in margine alla lingua” (Migliorini 1963), come una lingua “venduta” (Altieri Biagi 1979) oppure “subalterna” (De Mauro 1967), “marinistica, ludica” o addirittura come un “fantalinguaggio” (Medici 1974 cit. in Baldini 2003: 35). In definitiva, “la libertà è senza dubbio la caratteristica più evidente del linguaggio pubblicitario: libertà nel vocabolario, mediante la creazione incessante (e un po’ disordinata) di vocaboli nuovi […]; libertà nella sintassi, mediante la disarticolazione della frase […], l’eliminazione dei verbi e spesso degli articoli; libertà di stile, infine, nella scelta delle parole, nell’uso e talvolta, nell’abuso di figure stilistiche e di altri artifici” (Galliot 1954 cit. in Baldini 2003:7). Esempi di questo “deragliamento dalla norma”, sono neologismi come “digestimola”, “simmenthalmente”, “trissetante” (Baldini 2003: 64); figure retoriche come “La polvere non dura, perché Swiffer la cattura”, “Milano da bere”, “O così. O pomì” (Capozzi 2016: 86), “Dash lava così bianco che più bianco non si può”. Risulta chiaro quindi che le parole della pubblicità non hanno lo scopo di “se faire comprendre”, ma piuttosto di “faire de l’effet” (Galliot 1954). In particolare, il messaggio pubblicitario non solo attinge dalla lingua comune, ma proprio grazie al suo potere di coinvolgimento e di evocazione, si può dire, quindi, che eserciti anche una certa influenza sulla lingua stessa, in particolare su quella dei giovani. Oggigiorno, i “teenagers” sono diventanti importanti fruitori di pubblicità e rappresentano sempre più una sfida per i pubblicitari, che per capirne le richieste, devono creare spot e réclame in grado di attirare l’attenzione di un “target group” non più sprovveduto, ma in grado di scegliere a che prodotto affidarsi e quale scartare. Pertanto, il messaggio pubblicitario risulta essere una sorta di laboratorio linguistico, dove novità e creatività rappresentano i meccanismi creativi.
Quando un prodotto intende travalicare i confini nazionali, il successo di un annuncio pubblicitario dipende essenzialmente dalla sua traduzione, che chiaramente non può essere letterale. Deve, piuttosto, essere configurata come un adattamento alla cultura di un pubblico nuovo. Come il linguaggio pubblicitario, la traduzione pubblicitaria richiede, infatti, creatività, capacità stilistica e un’ottima conoscenza linguistica e culturale del pubblico di destinazione. Insomma, per dirla con McLuhan, “La pubblicità è la più grande forma d’arte del XX secolo”. Un caso significativo è quello della Barilla, che, pur rappresentando il punto di riferimento della cucina italiana nel mondo, ha adottato, nella comunicazione pubblicitaria nei vari paesi del mondo, elementi di adattamento alle culture locali. Comparando diversi siti della Barilla nel mondo, risulta evidente che la principale differenza riguarda il fine della promozione stessa. Se per gli italiani la pasta è sinonimo di famiglia, qualità e tradizione, per i mercati esteri la pasta è sinonimo di Italia e la pubblicità deve quindi creare un viaggio nella cucina italiana.
Per esempio, Lo storico slogan “Dove c’è Barilla, c’è casa”, che ancora oggi troviamo sulle innumerevoli varietà di pasta Barilla, comunica il valore della famiglia, degli affetti, dei buoni sentimenti riuniti introno a un tavolo con un bel piatto di pasta fumante.
In Francia, invece, la campagna “3 MINUTI AL DENTE” non si riferisce chiaramente alla realtà italiana, ma è stata ideata per un pubblico diverso da quello italiano, che viene rappresentato nello stereotipo della sua tradizione culinaria. Negli Stati Uniti e in Germania, Barilla si spinge addirittura a promuovere una linea di piatti di pasta condita e pronta, rispettivamente “Al dente Perfection in 60 seconds!” e “Fertigpasta”, che non richiede cottura perché basta riscaldarla per poterla consumare velocemente durante la pausa pranzo. Una vera e propria eresia per i cultori nostrani della pasta, ma che invece si adatta perfettamente alla cultura de Paese di arrivo, o quantomeno all’ampia fetta di mercato alla quale l’azienda punta.
Nonostante questo, nel mercato francese l’azienda continua a puntare sull’italianità del prodotto (“Les pâtes preferées des Italiens”), per sottolineare ulteriormente che Barilla è sempre la scelta migliore, perché lo è nel Paese della pasta. Nei messaggi pubblicitari francesi questo il continuo richiamo all’Italia e al suo territorio è evidente, sia tramite slogan – come “La plus délicieuse des créations italiennes” o “Barilla, l’Italie est là” – sia con elementi secondari, quali immagini di città italiane o citazioni di chef italiani, che trasmettono ulteriormente l’idea di genuinità e di autenticità.
Come si sarà notato, a livello linguistico si ricorre a prestiti per i diversi formati di pasta (spaghetti, farfalle, penne rigate, casarecce, ecc.) ma anche per designare il grado ideale di cottura (al dente!), nonché per gli ingredienti tipici italiani (ricotta, pesto, mozzarella) (Capozzi 2016:137). Relativamente alle ricette, l’italiano è utilizzato in grado variabile, non solo nei piatti della cucina regionale (“lasagne alla bolognese”, “spaghetti alla carbonara”, “pesto alla genovese”) ma anche laddove predomina la lingua francese (“Mini Farfalle aux petits pois, au jambon et aux tomates”; “Spaghetti aux câpres, olives, tomates et raifort”). La strategia di utilizzare prevalentemente i nomi italiani dei prodotti contribuisce a trasmettere una sorta di valore del “made in Italy”, perché la Barilla, in tal modo, assicura al consumatore straniero qualità, gusto e, soprattutto, l’esperienza di mangiare italiano.
La Barilla è un’ulteriore conferma di quanto sia importante il rispetto delle differenze sociali e culturali, che oggigiorno, le aziende non possono permettersi di ignorare. Risulta evidente, pertanto, come il ruolo della pubblicità nella società contemporanea sia andato ben oltre quello puramente informativo delle origini. Non si tratta più di un semplice mezzo di persuasione ma, di uno strumento che esprime i valori e i capisaldi della cultura di cui si fa portavoce. Le imprese, di conseguenza, devono essere in grado di canalizzare gli elementi culturali all’interno delle proprie pubblicità, al fine di rendere efficiente la propria comunicazione. Pubblicità e cultura, dunque, si sviluppano in maniera sincronica ed è questo il motivo per cui le aziende non vendono più semplici prodotti, ma valori.
Bibliografia
- M.R. Capozzi, La comunicazione pubblicitaria. Aspetti linguistici, sociali e culturali, Franco Angeli, Milano 2016.
- M. Baldini, Il linguaggio della pubblicità. Le fantaparole, Armando, Roma 2003.
- B. Migliorini, Lingua contemporanea, Sansoni, Firenze 1963, 4ª ed., p. 11.
- M. L. Altieri Biagia, La lingua italiana. Storia e problemi attuali, ERI,Torino 1979, II ed., p. 318.
- T. De Mauro, Un linguaggio subalterno, in <<Sipradue>>, dicembre 1967, n. 12, p. 5-8.
- M. Medici, Conglomerati sintattici pubblicitari, in <<Sipra>>, novembre-dicembre 1974, n. 6, pp. 134-5.
- M. Galliot, Essai sur la langue de la réclame contemporaine, Edouard Privat, Toulouse 1954.