La carica eversiva di una scelta come quella di Dante di attingere alle parole della piazza medievale, che non è certo l’agorà ellenistica né il foro della tradizione latina, è stra-ordinaria. Con quanto ardimento e quanta determinazione intellettuale egli ha affidato la sua ars poetica non già al latino, perfetto ma fiacco nell’uso, ma al codice “volgare” cui demanda il compito di esprimere con pienezza l’uomo del suo tempo o, forse, l’uomo al di là del tempo. Un individuo che è creatura e demiurgo insieme. Creatura di un Dio che condanna e che salva e demiurgo capace di forgiare la lingua del mercato e renderla degna della Curia. Da Dante in poi la nostra storia culturale cambierà per sempre, esempio di plurilinguismo, nel senso di padrone di un ventaglio di lingue settoriali, rappresenta un unicum, tanto che quando nel Cinquecento si è cercato un archetipo lo si è trovato nei fragmenta, nelle nougae, dall’unilinguista Petrarca.
Ma veniamo a noi, le mie note biografiche parlano per me, non ho credenziali da vantare se non quelle dell’amore per le patrie lettere e per l’insegnamento che non ho mai concepito come travaso di sapere, ma come attività maieutica.
Spiegare Dante ad una generazione che ama la lingua fast è una sfida da raccogliere perché il tema della comunicazione è quanto mai attuale. Intendo espressione “per verba“, perché mai come oggi siamo travolti dalla comunicazione. Questa generazione , anzi, si racconta più di sempre e lo fa per immagini, per stories che illustrano frammenti di vita da proporre e da guardare. Si, perché la relazione è doppia: si ritagliano episodi della propria vita e si guarda quella altrui. E l’ “esegesi”? Facile e lapidaria, come il pollice verso degli imperatori romani.
In questo panorama mi sembra di poter dire che le parole sono relegate al ruolo di didascalia.
Invece Dante racconta rendendo la parola protagonista. Con questo materiale, che nelle sue mani diventa straordinariamente duttile, ha costruito architetture. Una basilica,nel caso della Commedia, le cui navate si possono percorrere in tutte le direzioni, il lettore è libero di fare una pluralità di percorsi che rendono l’opera sempre nuova, come uno spettacolo animato che si può ammirare da punti di vista diversi. Il transetto è la giustizia Dio che lega tutte le cantiche.
Con le parole Dante crea immagini immortali, con le poche sillabe di celebri versi frena l’Ybris dei demoni, svela la profondità di sentimenti, biasima con tono di invettiva e con altrettante sillabe apre la via al sublime.
Dante e l’amico, l’amante, il politico, il fedele, ma anche il nemico, l’odiatore, l’esiliato, rappresenta il coraggio e la pazienza, l’angoscia e la paura dell’uomo di fronte all’ignoto, è capace di solidarietà e di ferocia, riconosce il ruolo del maestro ma si adopera per superarlo. Conosce il male ma ha l’anelito verso il bene. Combatte, lotta, soffre… è, insomma, una summa dell’energia giovanile.
Tutto Dante, però, può essere indigesto per studenti delle superiori.
All’insegnante spetta un compito: quello di scegliere, scegliere di volta in volta quello che dà risposta al vigore giovanile . Con Dante si può fare, non occorre leggerlo tutto perché in esso c’è tutto.
Lo si potrebbe definire il miracolo del logos, inteso come ragionamento ma anche come semantema.
E allora che la cautela lasci spazio al coraggio: il coraggio della parola che ha la forza di cambiare il mondo!
Si può fare. Si deve fare.

Cosa può insegnare ancora Dante a distanza di 700 anni? – Di Maria Assunta Bonora

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