L’essere ha il dono della parola, che lo mette in comunicazione con chi la parola accoglie. La comunicazione non può essere sempre lieta, amena o positiva. Se portatrice di dolore, preoccupazione, pena, deve essere cercata e resa meno discriminante possibile, per il rispetto da offrire a chi ne è il destinatario.

Le disabilità fisiche o mentali esistono da sempre e la terminologia da usare nei confronti degli esseri umani che le possiedono sono semplicemente “persone con disabilità” – avendo il Padre Eterno dimenticato di farle a sua immagine e somiglianza: perfette o quasi – L’asserzione sembra di una semplicità estrema: bella, pulita e rispettosa. Invece è il risultato di lunga percorrenza, che, da terminologie più pesanti, bieche, anglicizzate, offensive – dai tempi più antichi a quelli più o meno recenti – riesce a rispettare lo stato di “persona”, quindi di essere umano, dotato di un nome, un cognome, esigenze, necessità.

Ci sono “barriere architettoniche” inamovibili per “persone con disabilità” , aggiriamo almeno quelle linguistiche al fine di un riconoscimento di “una parziale normalità”. Nominalmente ci siamo arrivati, anche se il percorso è stato lungo e pieno di ostacoli.

Presso le prime società pur provviste di una certa evoluzione culturale, “le persone con disabilità”erano considerate una sorta di castigo divino, da immolare agli dei, pari a nullità. Spesso la responsabilità della deformità veniva attribuita a chi, se non alla donna che l’aveva partorita?

È vasto il mondo delle “persone con disabilità”, locuzione esatta che “mette l’individuo al centro e non si concentra su un suo aspetto fisico.”

Può essere presente dalla nascita, o comparire poi. In pochissimi casi viene risolta e la persona e coloro che le sono vicine, devono organizzare la loro vita al problema. Perché è indubbiamente un problema, fondamentalmente doloroso che richiede, prima di tutto, accettazione. Poi speranza continua in soluzioni, rare, nella realizzazione, malgrado progressi medico-scientifici.

Allora, quali sono le reazioni? Distacco? Pietà? Sentimento di fortuna mancata? Niente di tutto questo da parte di chi non ha esperienza diretta con tale problema. Direi, piuttosto: considerazione ben ponderata che esiste un numero notevole di “persone con disabilità”, differenziate per gravità, esclusione completa dalla vita socio-affettiva, potenzialità limitate o esaustive per inserimento sia in una forma di vita affettiva che lavorativa.

Non sono un’esperta in questo settore. Posso, se mi è consentito, riportare due o tre esperienze relative ad incontri di “persone con disabilità” in campo professionale: insegnamento in Scuola Media Superiore, dove fa notizia, non rara, dell’aspetto cinico e perverso di ragazzi “sani” contro chi non lo è. Secondo la mia esperienza trattasi di esigua minoranza, tarata da approcci educativi sbagliati.

A me è stato possibile rilevare comportamenti di supporto, stimolo e condivisione – quando possibile – da parte di compagni di classe, atteggiamenti di aiuto e di inclusione negli scherzi o allusioni alla pari. Quando accadeva, tale inserimento alla parità e all’inclusione dava sicurezza e gioia, senso di appartenenza alle “persone con disabilità”, che entravano nel gruppo classe con i loro nomi: Filippo… Paolo… Carlo… Personalmente mi sentivo anch’io contagiata ed il trattamento quanto più possibile alla pari con quello degli altri contribuiva a renderli più sicuri, spontanei e partecipi.

Nella mia città, Terni, esiste l’Associazione “Aladino Onlus”. Trattasi di

“una associazione di volontariato costituitasi nel 1997 da genitori di ragazzi con disabilità e da persone vicine a queste problematiche che intende proporre un’ottica innovativa nella predisposizione di progetti rivolti alle varie fasi della vita delle persone con disabilità intellettiva. Si è scelto il nome “ALADINO” perché fa pensare alla magia, alla fantasia, a qualcosa di positivo, poiché intorno ai problemi della disabilità c’è sempre molta angoscia e dolore, quindi abbiamo volutamente dato un nome che sdrammatizzasse e desse un’idea meno greve e austera. L’associazione non ha fini di lucro e vuole essere soprattutto un punto di riferimento per genitori, operatori socio-sanitari, scolastici e tutti coloro che sono interessati alle problematiche della disabilità. Gli scopi essenziali dell’associazione sono: favorire il pieno sviluppo sociale, intellettivo ed espressivo delle persone con disabilità, aiutare le famiglie a confrontarsi ed a risolvere i problemi connessi alla disabilità dei figli, la loro educazione, il loro inserimento nella scuola e nella società, diffondere informazioni inerenti la disabilità, favorendo iniziative di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e svolgendo un ruolo di pressione sociale con le istituzioni pubbliche per la tutela dei diritti delle persone svantaggiate. Negli ultimi anni l’associazione è diventata sempre di più un punto di riferimento per le famiglie, dove convergono problematiche, difficoltà e nuovi bisogni e proposte per aiutarsi a vicenda.”

So che non è l’unica, in fondo il problema è sensibile e sentimenti di solidarietà esistono molto più di quello che si mette in evidenza. Fanno più clamore e audience perfidie o violenze che atti e atteggiamenti di comprensione e vicinanza verso le disabilità nostre e altrui. 

Persone con disabilità – di Fiorella Soldà

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