Questo articolo è un estratto della Tesi di Laurea di Lorna Bianchi (Introduzione).


Dante Alighieri e la sua Commedia sono sempre più argomento di attualità e di studio continuo, soprattutto in questi anni di celebrazioni del settimo centenario dalla sua morte. Il mio approccio all’argomento, da fiorentina, è stato quello di ripercorrere le tappe storiche di quel periodo tanto movimentato per Firenze ed in generale per le città comunali italiane, durante il quale Dante fu cacciato dalla sua città natale, tentando poi di analizzare il sentimento del Sommo Poeta e successivamente valutare le soluzioni attuate dalla città a partire dalla fine del XIV secolo, per arrivare a comprendere quanto effettivamente sia possibile ricucire lo “strappo” esistente tra Dante e Firenze. Alla base di questo mio studio sta dunque la dicotomia tra le sentenze contenute nel Libro del Chiodo, a partire dalla prima, emanata nel gennaio del 1302 fino a quella del marzo dello stesso anno con la quale Dante fu condannato al rogo, e la sua celebrazione postuma in Duomo a Firenze in occasione del secondo centenario dalla nascita del poeta con la realizzazione da parte di Domenico di Michelino del dipinto Dante e la Divina Commedia che illumina Firenze.

Una serie di domande, dunque, sono state alla base di questa mia ricerca, prima fra tutte quella appena espressa riguardo l’efficacia di quei tentativi di Firenze di riconciliarsi con il Sommo Poeta alla luce dell’analisi dettagliata delle sentenze di esilio. A questa è seguito un altro quesito più particolare, ovvero perché Firenze si è accanita tanto verso Dante quanto verso il noto ghibellino Farinata degli Uberti. Ciò mi ha condotto a valutare lo scenario sociale, politico ed economico della città negli anni a cavallo tra il XIII e il XIV secolo, isolandone poi i protagonisti che hanno portato Dante agli esiti a noi noti.

Il 1302 rappresenta per Dante l’anno terribile del bando dalla sua amata Firenze, il «bello ovile»1 per il quale il poeta si era speso in senso politico e intellettuale risultando uno dei più eminenti personaggi della città dopo la morte di Brunetto Latini.

Parlare del rapporto tra Firenze e Dante negli anni che seguono l’esilio del Sommo Poeta attraverso la sua opera maggiore, la Commedia, è forse argomento ovvio essendo esso tra i temi principe di tutti gli studi danteschi, ma la mia curiosità risiedeva nel capire più a fondo la vera essenza delle cause dell’esilio, il sentimento contrastato di Dante verso la sua città e infine comprendere se i postumi tentativi di Firenze di riconciliarsi con il poeta e rivendicarne orgogliosamente i natali fossero per la città un’operazione fattibile, anche se ovviamente unilaterale. L’intenzione di svolgere una tesi di laurea proprio su questo argomento nasce dunque da una mia curiosità rispetto alla sentenza di esilio che esaminerò nel primo capitolo: una sentenza criptica per certi versi, essendo stata comminata all’Alighieri una pena di esilio dalla città per un’accusa di baratteria che, come vedremo, ha più che altro un sapore primariamente di eliminazione politica più che di vera e propria condanna per un reato realmente commesso.

L’esclusione dei più illustri intellettuali e dei maggiori detentori di ricchezze finanziarie in Firenze portò ovviamente ad un arresto di tutte le più importanti attività. Non ultima la costruzione della Cattedrale di Santa Maria del Fiore, iniziata nel 1296, quando Dante faceva parte del Consiglio dei Cento,2 e che nel 1302 subisce una sospensione nella costruzione: Corso Donati si era impadronito del potere grazie al sostegno di Carlo di Valois, entrato a Firenze il primo di novembre 1301, e nella prima seduta il nuovo Priorato stanziò un sussidio di 8.000 lire al cantiere del Duomo, che sarebbero serviti per altri due anni, ma fu l’ultimo stanziamento del nuovo governo; infatti i documenti parlano di un ulteriore sussidio del Comune per il progetto edilizio solo il 7 agosto 1318.3

Nel 1302 furono pronunciate ben 559 condanne a morte e circa 600 condanne all’esilio e al confino, senza contare gli esili volontari. Ma chi erano questi bianchi espulsi dalla città di Firenze? In primis la classe dirigente e le famiglie più in vista di quella città che figurava come la «maggior potenza finanziaria europea».4

È facile capire come le persone cacciate dalla città fossero le più abbienti, e soprattutto non sprovvedute: «prima di partire cercavano di liquidare i loro beni immobili; se soci di compagnie bancarie e commerciali, di riavere la loro quota di capitale; tutti, finché erano in tempo, ritiravano i depositi in banca»,5 scrive Marco Santagata, e continua spiegando che ciò che accadde nel 1302 «non fu solo un esodo di persone, dunque, ma anche di capitali: si diceva che il solo Vieri dei Cerchi avesse portato con sé ad Arezzo l’enorme cifra di 600.000 fiorini d’oro».6

La fuoriuscita dalla città di capitali fu tale che numerose società finanziarie fallirono o comunque ebbero molte difficoltà.

Ma anche e soprattutto la cultura fiorentina subì un forte contraccolpo da tale esodo: le maggiori personalità che cooperarono alla nascita dell’umanesimo furono esiliate e Firenze rimase fuori anche dai circuiti della nuova cultura che gravitavano intorno ad Avignone, Roma e il Veneto.7

Grazie alla mia più che ventennale esperienza di Guida per il complesso monumentale di piazza del Duomo a Firenze e alla mia predilezione per lo studio della storia medievale e primo-rinascimentale, ho avuto modo di riflettere da sola e con gli ospiti che ho guidato sulla scoperta delle opere d’arte nella piazza della cattedrale, su quanto non fosse effettivamente facile vivere a Firenze all’epoca (e in un certo qual modo ancora oggi) se si avevano idee non conformi al comune sentire. Firenze è una città «superba»,8 come sostiene Dante, assetata di potere e di soldi, nella quale «i subiti guadagni»9 hanno creato «il mal de la cittade»10 che altro non è che il costante tentativo di prevaricazione gli uni sugli altri. Si parla di fazioni, i guelfi e i ghibellini, e si tenta di dare un senso alle lotte, ma quando tutto sembra sanato e la città ha preso una Parte definitiva ci si accorge che niente è come sembra: l’odio, il rancore non hanno una base politica, morale o religiosa, ma sono sentimenti ben radicati nei fiorentini a causa della ‘sete di potere’ che porta la città a dividersi nuovamente in due schieramenti interni ai guelfi: i bianchi e i neri.

Dante comprende tutto questo forse quando ormai è tardi, o meglio, anche se avesse compreso prima la necessità di allinearsi al cosiddetto “politically correct” probabilmente non lo avrebbe comunque fatto perché lo reputava un atteggiamento meschino: le fonti e l’opera di Dante ci tramandano una persona diretta, concreta, sincera fino a risultare scontrosa, come spiega Villani,11 ma che ama la sua città e soffre vedendone il declino derivato dalla ricchezza che l’aveva resa preda di arrivisti mercanti venuti dal contado. La Firenze premercantile dell’avo Cacciaguida non esiste più, e con lei non c’è neppure la necessaria stabilità politico-religiosa che unicamente i “due soli” avrebbero garantito: se da una parte il papato è ormai corrotto e tenta di usurpare il potere temporale che spetta all’imperatore, unico garante della pace, cogliendo l’occasione della vacanza imperiale successiva alla morte di Federico II, dall’altra l’impero non riesce a risollevarsi dal suo decadimento neppure con «l’Alto Arrigo».12

Dante e la Commedia sono i capisaldi dell’identità italiana, sempre attuali e continuamente citati e utilizzati da chiunque, anche talvolta a sproposito e senza un’adeguata conoscenza pregressa. Di Dante si parla in qualsiasi occasione, si abusa delle terzine della sua Commedia talvolta non conoscendo a fondo il vero significato di questa colossale opera letteraria: operazione estremamente difficoltosa dato che lo stesso poeta scrive nella sua epistola a Cangrande della Scala dei diversi livelli di comprensione della Commedia, ma è proprio questa ‘altezza’ e profondità di temi trattati a renderla contemporanea ad ogni tempo. Nella Commedia infatti si aprono scenari che fanno del Sommo Poeta un vero e proprio ‘profeta’ non solamente riguardo gli eventi della sua epoca (che sappiamo essergli già noti grazie alla retrodatazione del viaggio), ma anche per ogni uomo di ogni tempo. Dante non vede l’attualità solo sotto un profilo politico, lui, come sostiene nel Monarchia, la vede grazie alla verità che gli antichi ci hanno lasciato e che lui ha arricchito con il suo lavoro,13 egli si eleva sopra ‘le spalle dei giganti che lo hanno preceduto’ e grazie all’intelletto utilizzato in modo consono e in linea con la volontà divina, approda a quella ‘diritta via’ che aveva smarrito, indicando a tutti noi quale sia il metodo per poterci arrivare.

Come spesso accade, un ostacolo non è quasi mai un muro invalicabile, ma è una prova di “ingegno” e di abilità emotiva e intellettuale che si pone davanti a noi quando il fato o la Divina Provvidenza, che dir si voglia, ci reputa capaci di superarlo e, grazie ad esso, salire un gradino della nostra evoluzione interiore. Questo è ciò che Dante ci insegna, raccontandoci la sua “Odissea” personale: una sorta di viaggio iniziatico nel quale il Dante uomo si ritrova ad essere brutalmente gettato a causa dell’odio cieco di ‘potenti’ che si rivelerà essere, seppur nei tormenti terreni, una ‘benedizione’ per la sua evoluzione spirituale.

Firenze ha esiliato Dante Alighieri, ma rimpiangerà sempre questo grave errore. Non sarà, però, un dipinto celebrativo in Duomo, per il secondo centenario della nascita di Dante, che potrà riconciliare il Sommo Poeta con quella città che lo ha cacciato e umiliato e che lui spesso ricorda nella sua Commedia come una città corrotta, abitata ormai da cittadini avari, invidiosi e superbi, e dei quali è disseminato l’Inferno.

Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
14

Ma prima o poi il castigo dei veri colpevoli renderà testimonianza della verità che giudica e punisce infallibilmente,15 come spiega Cacciaguida:

La colpa seguirà la parte offensa

in grido, come si suol; ma la vendetta

fia testimonio al ver che la dispensa.16

Sicuramente Dante non vedrà così lontano la sua vendetta ma, a settecento anni dalla sua morte, Firenze piange ancora il suo poeta e il grave errore commesso.

Grazie a questo lavoro ho potuto approfondire la questione dell’esilio dantesco sotto il profilo storico-giuridico, politico, emotivo e letterario, e la questione della riconciliazione di Dante con Firenze, seppure rimanga, come giusto che sia, un punto di vista prettamente personale sarà esposta nelle conclusioni finali di questa tesi.


Note

1 Par., XXV, v. 5.

2 Cfr. G. INGLESE, Vita di Dante, una biografia possibile, Roma, Carocci, 2021 (prima edizione “Saggi” 2015 – I ristampa) p. 61. Inglese parla appunto dell’impegno civico di Dante come «membro dei Trentasei del Consiglio speciale del Capitano del Popolo nel semestre novembre 1295-aprile 1296; il 23 maggio seguente fu chiamato a far parte del Consiglio dei Cento (fino al 30 settembre)…». Sappiamo infatti che l’anno 1296 è la data ufficiale dell’inzio dei lavori della Cattedrale in quanto, come possiamo leggere in A. GROTE, L’Opera del Duomo di Firenze 1285-1370, Firenze, Leo Olschki, 2009 (Ed. originale Das Dombauamt in Florenz, 1285-1370. Studien zur Geschichte der Opera di Santa Reparata, Munchen, Prestel, 1959), p. 27: «nel corso del mese di settembre la presenza in città del cardinale legato di Bonifacio VIII offrì l’occasione per far consacrare ufficialmente e con grande pompa la costruzione della nuova chiesa di Santa Reparata.» Si veda anche E. CECCHI, N. SAPEGNO, Storia della Letteratura italiana,Vol. II, il Trecento, Milano, Garzanti, 1965, p. 10: «tra il maggio e il settembre del ’96 appartenne all’altro Consiglio dei cento, che deliberava le spese, e quindi le direttive fondamentali, della politica del Comune.» È opportuno però specificare che Dante non sarà mai attratto o affezionato alla Cattedrale fiorentina (né l’antica Santa Reparata, né la nuova Santa Maria del Fiore) quanto al suo ‘bel San Giovanni’ che legava la città all’antica grandezza del Primo Popolo.

3 Cfr. A. GROTE, L’Opera del Duomo di Firenze 1285-1370, cit., pp. 34-37.

4 M. SANTAGATA, Dante. Il romanzo della sua vita, Milano, Mondadori, 2020 (prima edizione 2012), p. 138.

5 Ivi, p. 139.

6 Ibidem.

7 Cfr. Ibidem.

8 Purg.,XI, v. 113.

9 Inf., XVI, v. 73.

10 Par.,XVI, v. 68.

11 «Questo Dante per lo suo savere fue alquanto presuntuoso e schifo e isdegnoso, e quasi a guisa di filosafo mal grazioso non bene sapea conversare co’ laici» (G. VILLANI, Nuova Cronica, Letteratura italiana Einaudi, Ed. di riferimento: Nuova Cronica, a cura di G. Porta, Fondazione Pietro Bembo/Guanda, Parma, 1991, p. 796).

12 Par., XXX, v. 137.

13 Cfr. Mn., I, I.

14 Inf., XXVI, vv. 1-3.

15 Cfr. E. CECCHI, N. SAPEGNO, Storia della Letteratura italiana, Vol. II, il Trecento, cit., p. 137, nota 4.

16 Par.,XVII, vv. 52-54

Dante Alighieri e Firenze: dall’esilio alle celebrazioni in Duomo attraverso la Divina Commedia – di Lorna Bianchi

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