Jan Amos Komenský, ovvero Giovanni Amos Comenio, grande pensatore, nato in Moravia nel 1592 e morto ad Amsterdam nel 1670 fu un grande educatore, docente, filosofo, scrittore, ecc. considerato padre dell’educazione moderna, scrisse Janua linguarum Reserata (“Spalancata la porta alle lingue”) ed invocò l’insegnamento plurilinguistico fin dalla tenera infanzia.


In una serata grigia e fredda di qualche mese fa ebbi voglia di rileggere del materiale relativo agli scritti e al Metodo didattico di Comenio e provai a pensare cosa avrebbe scritto della lingua, della scuola e dei giovani se fosse vissuto oggi.

Quindi mi scattò il desiderio di fare un’intervista, ovviamente immaginaria, a questo studioso che di didattica aveva molto da dire nel suo tempo e, sono convinta anche oggi.


D. Lei era un grande linguista e si occupava di insegnamento e di apprendimento, in generale, anche delle lingue, quella materna in particolare e, conseguentemente di idiomi stranieri.

R. Sono stato sempre convinto della necessità di implementare un sistema progressivo per dar vita a un progetto “dall’anno zero all’età adulta” con approfondimento ed allenamento nell’uso della propria lingua – l’italiano per voi – con l’apprendimento di almeno due nuovi idiomi (lingue straniere) e con un approccio interculturale aperto anche al confronto. Ciò impone piena consapevolezza della necessità di ridefinire nuove strategie nell’insegnamento della lingua italiana, riprogettare i programmi secondo il principio della centralità dell’educazione, in un quadro di miglioramento generale delle scienze linguistiche.

D. Un progetto ambizioso, e certamente non facile da realizzare?

R. Certamente, ma necessario se si vuole garantire ai ragazzi un futuro di alta qualità e quindi di successo. Si deve delineare un progetto pedagogico lungimirante a medio e lungo termine, di vita, di studio e poi di lavoro. Il percorso è uno, unico: “dalla consapevolezza di sé, attraverso l’autostima per giungere alla leadership” e prevede l’acquisizione di più lingue straniere anche per scopi lavorativi, ma deve essere realizzato concentrandosi, soprattutto, sul miglioramento delle conoscenze e dell’uso della lingua materna (italiano).

D. Mi scusi, ci vuole dire qualcosa di più?

R. Tutti i docenti sono (dovrebbero essere) linguisti. Ogni disciplina dovrebbe essere insegnata attraverso la somministrazione di un lessico e quindi di un linguaggio via via sempre più forbito, in tutte le materie anche quelle scientifiche, senza eccezione. In questo modo i ragazzi sarebbero gratificati e diventerebbero “piccoli esperti” in microlingue. Dovrebbero essere chiamati a realizzare produzioni orali e scritte, esercitazioni di ascolto, comprensione, lettura e ricezione dei contenuti. In tal modo la lingua italiana diverrebbe la protagonista dei processi di apprendimento, in tutte le sue abilità e i ragazzi potrebbero poi affrontare le novità di questo secolo, tra cui l’insegnamento veicolare in lingua straniera e per qualsiasi disciplina (C.L.I.L.). È necessario acquisire, prima, un’ottima conoscenza della lingua italiana e una buona padronanza d’uso e comprensione delle lingue straniere.

D Perché ha sottolineato fortemente le abilità orali, scritte, ascolto, eccetera?

R. La sensorialità dell’apprendimento non può essere sottovalutata poiché non è solo necessaria, ma anche vantaggiosa; si deve lasciare che la parte spontanea del cervello di ognuno vada a concretizzare automaticamente apprendimenti via via più complessi e sempre più efficaci.

D. Come si realizza concretamente nelle scuole questo ambizioso progetto?

R. È necessario generare un curricolo verticale, ovvero un programma unico che parta dalla scuola per l’infanzia e giunga fino al termine delle scuole superiori e a quello che voi chiamate esame di maturità. Niente più baratri fra un ciclo e l’altro, ma “cerniere di unione”. I materiali didattici devono essere “continuativi” e non ripetitivi. Non è ammissibile che un discente nel corso di tredici anni di scuola affronti più volte lo stesso periodo storico, ad esempio per la storia e non arrivi mai a studiare la storia contemporanea. I materiali devono essere predisposti lavorando in squadra. Appare chiaro come sia necessario iniziare dalla prima infanzia. La scuola deve essere sensibilizzata ad un raccordo psico-pedagogico e didattico-semantico fra la lingua materna, fondamentale, e l’apprendimento di altri idiomi e delle altre discipline caratterizzanti, nelle quali non sono importanti solamente i contenuti, ma anche la lingua nella quale vengono espressi, quindi la forma.


D. Attualmente, quindi nel XXI secolo, dobbiamo prendere atto della crescente presenza di un plurilinguismo e di una multiculturalità come fenomeni destinati ad aumentare specie con l’allargamento dell’Unione Europea e l’apertura dei mercati dell’est.

R. A maggior ragione, quindi, la scuola deve essere chiamata ad attrezzare le nuove generazioni a tali orizzonti. Per questo io ho parlato di una “porta” che si spalanca verso una nuova fase educativa: “Spalancata la porta delle lingue”, ovvero “Ianua Linguarum Reserata” da me scritto nel 1631. Noi dobbiamo lavorare per coloro che intendono oltrepassare questa porta che si spalanca, appunto, verso un processo di apprendimento che deve vedere il discente al centro e il formatore nel ruolo di facilitatore. I docenti di tutte le discipline dovrebbero sapere bene che la vera conoscenza parte dall’universo della cultura della lingua e obiettivo primario è quello di rendere il processo didattico naturale e spontaneo. A loro è richiesta una forte consapevolezza della attività cerebrale che sta alla base del processo di apprendimento. È importante per un insegnante conoscere la struttura del cervello e qual è l’attività cerebrale che si attiva e che è in grado di autoprogettarsi senza sosta per adeguarsi all’evoluzione ininterrotta della creatività nella scuola. Questo prezioso organo non era oggetto di studio nel 1630, ma lo é fortunatamente nel 2023 e si sono fatti molti passi avanti nel settore delle Neuroscienze. Molto importanti gli interventi di aggiornamento neurolinguistico per i docenti e quindi abbiamo speranze concrete…

D. C’è una parola che a me è particolarmente cara: Trilinguismo. Che ne pensa Lei?

R. Un progetto straordinario, molto interessante, ma la lingua madre deve occupare il primo posto!! Per realizzare un progetto così ambizioso si impone di potenziare il patrimonio educativo per recepire l’epocale cambiamento che state vivendo… Attraverso il Trilinguismo si può fornire, soprattutto ai giovani, la chiave per il futuro: essere preparati e competenti per avere successo, consapevoli delle loro radici e al tempo stesso, cittadini del mondo.

D. Che cosa ci consiglia?

R. Bisogna lavorare sul METODO – non sul FARE o NON FARE. È possibile costruire percorsi che tengano conto del bisogno del gioco, dell’ascolto, della relazione, con la necessità di organizzare la trasmissione dei saperi in modo strutturato. In alcune situazioni, anche se naturalmente e fortunatamente, per voi, le cose stanno cambiando. La scuola materna e la primaria sono ancora vissute come scuola del gioco e del passatempo, nei confronti della lingua straniera. Per molte Famiglie, Operatori, Dirigenti, la prima rappresenta un’istituzione di scarsa rilevanza e portata culturale, un’area di passaggio in attesa di entrare alla scuola “vera” del leggere e dello scrivere. La primaria, al contrario, è l’inizio di un approccio più strutturato…

I risultati di importanti studi ci consentono di affermare con forza che la fase della scuola dell’infanzia (dall’anno zero per capirci…) è, altresì, la piattaforma di lancio per il proseguo del percorso di apprendimento/formazione del giovane. Questa è la metodologia naturale, spontanea, attiva e progressiva che accompagnerà la crescita della soggettività del bambino, il suo divenire sociale, l’affinarsi di capacità intellettuali (rappresentazione, pensiero, soluzione di problemi). Tale processo che non potrà/dovrà essere promosso per compartimenti stagni, per discipline separate, ma proponendo situazioni di esperienza che coinvolgano emotivamente i discenti.

Nella costruzione dei curricoli ritengo di grande importanza il fare riferimento alla “pedagogia dell’ascolto” e alla sua progettualità. Quando i bambini arrivano a scuola per la prima volta, noi entriamo innanzitutto in rapporto con il loro corpo, con le loro lacrime, le loro paure, le loro opposizioni e se non siamo in grado di accoglierne e contenere le emozioni espresse, non potrà avviarsi alcun processo di apprendimento e di scolarizzazione. L’ascolto dunque prima della parola e la comprensione saranno i primi passi verso la realizzazione del vostro grande progetto. Successivamente si procederà ad uno studio più strutturato e approfondito.

Questi sono gli anni più importanti non solamente per la maturazione di una forte consapevolezza nei bambini/ragazzi, ma per l’acquisizione della curiosità, dell’amore e della passione per lo studio e, nello specifico, verso la propria lingua madre,la lettura e lo studio di altre lingue.

Ne consegue l’enorme importanza rivestita dai docenti preposti all’insegnamento a questi livelli: sono necessarie competenze solidissime, grande sensibilità ed amore.

In conclusione essi hanno una grandissima responsabilità … per il futuro… di tutti. Si impone che questi professionisti debbano essere aiutati, affiancati e, come già detto, gratificati.

D. Perché lei è così convinto del suo METODO?

R. Ognuno di noi ha avuto il primo contatto con la lingua PRIMA DI NASCERE …abbiamo iniziato a comprenderla attraverso il SUONO e il TONO. Quindi la forma di apprendimento più efficace è quella della SPONTANEITÀ e della COMPRENSIONE attraverso l’ASCOLTO.

I bambini sono fatti per apprendere le lingue esattamente come gli uccelli per cantare o migrare o i ragni per tessere tele. Il modo naturale in cui un bambino impara la prima lingua può essere utilizzato per imparare altre lingue… La selezione naturale ha forgiato il cervello umano in modo che i bambini apprendano le strutture grammaticali dai discorsi che sentono intorno a loro. Sappiamo che il momento ideale per imparare più lingue è la prima infanzia perché il cervello dei ragazzi si impadronisce rapidamente di conoscenze, abilità, capacità e competenze (termine contemporaneo). Se trasmettiamo loro passione, motivazione e spontaneità, …fin dall’ANNO ZERO, bambini potranno “APPRENDERE” più codici linguistici diversi dal loro, senza che i vari CANALI DI APPRENDIMENTO interferiscano l’uno con l’altro.

D. Con lei nasce la pedagogia moderna?

R. Il mio metodo non verte sui contenuti, che considero mnemonici e ripetitivi, ma sulla persona che apprende, a prescindere dal sesso, dalla etnia e anche dalle sue capacità. Se il discente è diversamente abile va aiutato! Inoltre il sapere deve inglobare tutte le discipline, prima quelle legate alla natura, quindi quelle logico matematiche e infine quelle letterarie. Ho compiuto questi studi e scritto le mie opere nel 1600 e ancora non le avete recepite ed applicate!!

D. Avrei una domanda dei tempi nostri: cosa pensa degli anglicismi?

R. Trovo accettabile l’uso di questi termini, ma non in tutti i contesti. Ritengo debbano essere evitati, o almeno limitati, nella comunicazione istituzionale, pubblica ovvero rivolta a tutta la popolazione che non necessariamente conosce l’inglese. I casi più evidenti sono presenti su quelli che chiamate “social media”, dove certe parole sono sempre più usate. Qualche esempio: influencer, taggare, follower, addirittura followare, postare, chat. Anche la pandemia ha contribuito alla introduzione di termini nuovissimi. Avete imparato parole che quasi non conoscevate: COVID-19, Coronavirus, assembramento, contract tracing (tracciamento dei contatti), DAD (didattica a distanza), DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri), Droplet (goccioline), distanziamento sociale, immunità di gregge, lockdown, mascherine chirurgiche, varianti, smart working… Alcune di queste parole le dimenticherete, altre continuerete ad usarle, poiché la lingua cambia continuamente e muta a seconda del momento storico e sociale.

D. Che mi può dire dei dialetti?

R. Per molto tempo il dialetto era la lingua di comunicazione quasi esclusiva, dei vostri nonni, per esempio. Chi parlava dialetto, a scuola, era considerato uno svantaggiato. Oggi, ventunesimo secolo, c’è un’inversione di rotta, anche da parte dei giovani, che stanno riscoprendo tratti culturali che trasportano su quelli che chiamate social, creando anche pagine davvero simpatiche. Quindi non più una lingua da estirpare, ma un valore aggiunto poiché è parte fondamentale del vostro patrimonio culturale italiano.

Lo Stato riconosce il Sardo, il Friulano e il Ladino come lingue ufficiali. L’Unesco aggiunge il Siciliano e il Napoletano.

D. Che ci dice dell’italiano digitato? Con lo sviluppo dei social network il numero di utenti che ha accesso ai mezzi di comunicazione aumenta repentinamente e con la trasformazione della lingua scritta conseguono tante varietà di registri linguistici e linguaggi cosiddetti “settoriali”, come il linguaggio giuridico, l’italiano commerciale, aziendale, tecnico scientifico, micro lingue imprenditoriali specialistiche utilizzate in ambito professionale. Una decina d’anni fa sono emerse altre varietà: l’italiano digitato é uno di questi, il cosiddetto italiano elettronico, quello delle chat, oppure l‘e-italiano, l’italiano elettronico mutato nel senso che é l’utente che genera i contenuti.
Che cosa ne pensa?

R. Se avessimo avuto, nel 1600, i potenti mezzi di comunicazione tecnologica di cui disponete voi oggi avrei potuto veicolare il mio metodo in tutto il mondo con grande beneficio di tutti. Voi avete questa possibilità e la dovreste usare invece che utilizzare queste metodologie per tormentare e sacrificare la vostra lingua con la smania di far presto e di abbreviare. Ciò che sarebbe importante è far conoscere il mio metodo, applicarlo per sfruttare il meraviglioso tesoro e patrimonio che sta nella testolina dei bambini…

Per il resto No comment. Ai posteri l’ardua sentenza!

Intervista immaginaria a Jan Amos Komenský – di Loredana Bettonte

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