ABSTRACT

La nobile famiglia di Giacomo Leopardi era (ed è tuttora) dedita alle attività agricole, tra le quali spicca la produzione di vino. Non è quindi un caso che il giovane Giacomo, pur avendo ricevuto un’eccellente istruzione classica nel severo contesto della biblioteca del palazzo di Recanati, dimostrasse una particolare attenzione ad aspetti assai più concreti dell’esistenza, quali i piaceri del cibo e del vino. In particolare, il nettare di Dioniso fa la sua comparsa nelle Operette morali, nello Zibaldone e negli epistolari, sia quando l’autore espone originali narrazioni, riflessioni e metafore sia quando dà consigli commerciali per lo sviluppo dell’impresa di famiglia. Il rapporto di Leopardi con il vino offre dunque un ritratto tanto insolito quanto curioso della personalità del poeta e merita sicuramente di essere ripercorso brevemente.


In quella raccolta di piccoli capolavori di cultura e arguzia che sono le Operette morali, Giacomo Leopardi si diverte a proporre un episodio mitologico di sua invenzione:

L’anno ottocento trentatremila dugento settantacinque del regno di Giove, il collegio delle Muse diede fuora in istampa, e fece appiccare nei luoghi pubblici della città e dei borghi d’Ipernéfelo, diverse cedole, nelle quali invitava tutti gli dèi maggiori e minori, e gli altri abitanti della detta città, che recentemente o in antico avessero fatto qualche lodevole invenzione, a proporla, o effettualmente o in figura o per iscritto, ad alcuni giudici deputati da esso collegio. […] Concorsero a questo premio non pochi dei celesti […] e tre furono gli anteposti: cioè Bacco per l’invenzione del vino; Minerva per quella dell’olio […]; e Vulcano per aver trovato una pentola di rame, detta economica, che serve a cuocere che che [sic] sia con piccolo fuoco e speditamente.1

Dunque, secondo il mito elaborato da Leopardi, è manifesto quali siano state le invenzioni di maggior giovamento tanto ai Numi quanto agli uomini: non la poesia, la filosofia o le arti, bensì il vino, l’olio e la pentola di rame “economica”, ossia beni estremamente concreti, che erano poi quelli che il poeta stesso aveva imparato ad apprezzare nella vita quotidiana della natìa Recanati, dove la nobile famiglia dei Conti Leopardi di San Leopardo si dedicava (e si dedica tutt’ora) alla produzione di vino e olio.2

Cresciuto tra gli studi compiuti nella grande Biblioteca di Casa Leopardi, non era però privo dell’esperienza di realtà ben più materiali. Ad esempio, dal punto di vista enogastronomico, Giacomo aveva gusti ben precisi:3 in una lettera indirizzata al padre, si lamentava che «l’aria, i cibi e le bevande di Milano sieno il rovescio di quello che mi bisognerebbe, e forse le peggiori del mondo».4 Al contrario, si trovava benissimo in Toscana, a Firenze, ma soprattutto a «Pisa per il clima: se dura così, sarà una beatitudine. […] E poi vi si aggiunge che io, grazie a Dio, sto bene; che mangio con appetito».5

Con poco rispetto per la tradizione emiliana, segnalava altresì la scarsa qualità dei formaggi e dei vini di Bologna, tanto che suggeriva di avviare un commercio di prodotti da Recanati, vincendo la tradizionale inerzia della provincia marchigiana nei confronti degli investimenti mercantili:

È ben giusta la sua maraviglia che costà [a Recanati] non si pensi punto a far commercio di formaggi con queste parti [Bologna], dove non si fa formaggio se non pochissimo e cattivo. Veramente non si può scusare l’indolenza della nostra provincia nel mettere a profitto i tanti generi squisiti che essa possiede, e che eccedono il consumo dell’interno: giacché i formaggi non sono il solo capo che manca in altre parti d’Italia, e che sarebbe ben accolto, ma noi abbiamo ancora molti e molti altri capi che da noi non si stimano e non si trovano a vendere perché soprabbondano, e altrove sarebbero ricercatissimi. E i nostri vini, che noi mandiamo solamente a Roma e in piccola quantità, mentre ne abbiamo tanta abbondanza, non si venderebbero qui nel Bolognese a preferenza di questi vini fatturati e pessimi della provincia, tutti ingrati al gusto, e scomunicati generalmente da tutti i medici?6

Ben consapevole del fatto che l’esercizio della “mercatura” non fosse degno della condizione nobiliare della sua famiglia, suggeriva altresì lucidamente di affidarsi a dei mediatori:

Certo non fa per i possidenti di attendere al traffico; ma se nella nostra provincia ci fossero altri che vi attendessero, si arricchirebbero essi, e i possidenti avrebbero modo di vendere i loro generi a prezzi convenienti.7

Al di là degli apprezzamenti riguardo il clima, la cucina e le bevande regionali, Giacomo Leopardi si conferma spesso un fedele seguace di Dioniso, giacché dimostra di conoscere e apprezzare il vino e i suoi effetti. Ciò che annota nello Zibaldone è indubbiamente molto elogiativo:

Il vino è il più certo, e (senza paragone) il più efficace, consolatore. Dunque il vigore; dunque la natura.8

Gli effetti positivi e gradevoli del vino, infatti, trascendono la dimensione puramente fisica e assurgono a un grado più elevato:

Il piacer del vino è misto di corporale e di spirituale. Non è corporale semplicemente. Anzi consiste principalmente nello spirito ec. ec.9

La potenza del vino è tale che, grazie ai suoi benefici influssi, anche gli uomini comuni possono elevarsi con lo spirito al di sopra della banalità della vita quotidiana, innalzandosi al livello dei poeti e dei filosofi:

Il poeta lirico nell’ispirazione, il filosofo nella sublimità della speculazione, l’uomo d’immaginativa e di sentimento nel tempo del suo entusiasmo, l’uomo qualunque nel punto di una forte passione, nell’entusiasmo del pianto, ardisco anche soggiungere mezzanamente riscaldato dal vino, vede e guarda le cose come da un luogo alto e superiore a quello in che la mente degli uomini suole ordinariamente consistere.10

Dunque, non serve essere poeti, filosofi o artisti per contemplare il mondo dall’altezza alla quale si collocano abitualmente le menti superiori: anche l’«uomo qualunque» può farlo, allorché è opportunamente «riscaldato» dal vino. In tale straordinaria, ancorché temporanea, condizione di altezza spirituale, egli potrà cogliere «verità generali e perciò veramente grandi e importanti» che cercherebbe «indarno fuor di quel punto e di quella ispirazione e quasi μανία e furore, o filosofico, o passionato, o poetico, o altro».11

Leopardi, secondo quanto dichiara nello Zibaldone, ha avuto modo di sperimentare personalmente i benefici influssi di sostanze stimolanti quali il vino o il tabacco, anche se il ricorso a esse può talora provocare effetti contrari a quelli desiderati:

Il vino (ed anche il tabacco e simili cose), e tutto ciò che produce uno straordinario vigore o del corpo tutto o della testa, non pur giova all’immaginazione, ma eziandio all’intelletto, ed all’ingegno generalmente, alla facoltà di ragionare, di pensare, e di trovar delle verità ragionando (come ho provato più volte per esperienza), all’inventiva ec. Alle volte, per lo contrario, giova sì all’immaginazione, sì all’intelletto, alla mobilità di pensiero e della mente, alla fecondità, alla copia, alla facilità e prontezza dello spirito, del parlare, del ritrovare, del raziocinare, del comporre, alla prontezza della memoria, alla facilità di tirare le conseguenze, di conoscere i rapporti ec. ec., [ma provoca anche] una certa debolezza di corpo, di nervi ec., una rilasciatezza non ordinaria ec., come ho pure osservato in me stesso più volte.12

Non si tratta, dunque, di un elogio convenzionale e astratto alla tradizione bacchica. Al contrario, a sostegno delle proprie affermazioni, Leopardi racconta la propria esperienza personale, in base alla quale vino, fumo e “simili cose” rappresentano il miglior impulso possibile per l’attività intellettuale. Oltre a questo, il vino dona, perfino alle persone mediocri, spigliatezza e vivacità intellettuale nella vita sociale:

Il vino, il cibo ec. dà talvolta una straordinaria prontezza vivacità, rapidità, facilità, fecondità d’idee, di ragionare, d’immaginare, di motti, d’arguzie, sali, risposte ec., vivacità di spirito, furberie, risorse, trovati, sottigliezze grandissime di pensiero, profondità, verità astruse, tenacità e continuità ed esattezza di ragionamento anche lunghissimo e induzioni successive moltissime, senza stancarsi, facilità di vedere i più lontani e sfuggevoli rapporti, e di passare rapidamente dall’uno all’altro senza perderne il filo ec., volubilità somma di mente ec. […] E gli uomini più stupidi di natura, d’abito ec. divengono talora, in quel punto, spiritosi, ingegnosissimi ec.13

Ci piace allora pensare a un Leopardi che, dopo avere ben mangiato, abbondantemente bevuto ottimo vino e magari fumato un buon sigaro, si trasforma inaspettatamente nell’“anima della festa”. E a questo punto, ci svela, chiunque può anche diventare un tipo galante, in quanto il vino è sicuramente il più fedele alleato di colui che si lancia in imprese sentimentali:

Dicono e suggeriscono che, volendo ottener dalle donne quei favori che si desiderano, giova prima il ber vino, ad oggetto di rendersi coraggioso, non curante, pensar poco alle conseguenze, e, se non altro, brillare nella compagnia coi vantaggi della disinvoltura. […] Il vino, ossia la forza del corpo, come ho detto altrove […], sebbene inclini all’allegrezza, e sopisca i dolori dell’animo, contuttociò dà risalto alle passioni dominanti o abituali di ciascheduno. Bensì le rallegrerà, e darà speranza anche allo sventurato o disperato in amore.14


1. Giacomo Leopardi ritratto da Domenico Morelli
2. Ritratto del conte Monaldo, padre di Giacomo Leopardi
3. Una sala della Biblioteca di Casa Leopardi a Recanati
4. Frontespizio del Trattato sopra la coltivazione delle viti (Venezia, 1757) di Nicolas Bidet, di cui è conservata una copia nella Biblioteca di Casa Leopardi
5. Elio Germano interpreta un goloso Giacomo Leopardi in una scena del film Il giovane favoloso di Mario Martone (2014)
6. Pierfrancesco Leopardi, attuale titolare delle cantine “Conti Leopardi di San Leopardo”. In lui si coglie evidentemente un’aria di famiglia.

1 G. Leopardi, La scommessa di Prometeo, in Id., Operette morali, cronologia, introduzione e note a cura di S. Orlando, Milano, BUR, 2007, pp. 124-134, in particolare pp. 124-125. Questa operetta fu redatta tra aprile e maggio 1824.

2 Cfr. <http://www.leopardiwine.com/>, consultato il 19/11/2023. La produzione di vino da parte della famiglia Leopardi risalirebbe al XVI secolo ed è anche testimoniata dalla presenza di trattati enologici nella biblioteca del palazzo di Recanati. Tra questi, merita una segnalazione la prima versione italiana del fondamentale testo pubblicato a Parigi nel 1752 dal sommelier di corte Nicolas Bidet: Trattato sopra la coltivazione delle viti, del modo di fare i vini, e di governarli, ornato di figure, e massime di quella di uno strettojo di novella invenzione. Descritto da M. Bidet, Uffiziale della Casa Reale di Francia, traduzione dal franzese di un Accademico Etrusco, e Georgofilo, Venezia, [s.t.], 1757.

3 Cfr. M. Donà, La filosofia del vino, Milano, Bompiani, 2005, pp. 157-160.

4 G. Leopardi, Epistolario, a cura di E. Trevi, versione ePub, Roma, Newton Compton, 2014: a Monaldo Leopardi – Recanati, Milano, 24 agosto 1825.

5 Ivi: a Paolina Leopardi – Recanati, Pisa, 12 novembre 1827.

6 Ivi: a Monaldo Leopardi – Recanati, Bologna, 20 febbraio 1826.

7 Ibidem. È difficile oggi stabilire a quali vini si riferisse Giacomo Leopardi, in quanto la produzione di viti autoctone in Europa fu irrimediabilmente cancellata, nella seconda metà dell’Ottocento, dalla devastante infestazione di filossera proveniente dall’America. Solo una profonda modifica delle tecniche di coltivazione (in particolare, l’innesto di viti locali su ceppi di vite americana) consentì la sopravvivenza della produzione di vino nel vecchio continente. Oggi esistono ancora pochi e selezionati filari “pre-filossera”. Cfr. G. Garrier, Le Phylloxéra. Une guerre de trente ans (1870-1900), Paris, Albin Michel, 1989. Per chi volesse approfondire l’attuale produzione vinicola marchigiana, cfr. Le Marche nel bicchiere 2023. Vini, spumanti, passiti, cantine e oli monovarietali del territorio, a cura dell’Associazione Italiana Sommelier Marche, [Recanati], AIS Marche [Bieffe], 2022.

8 G. Leopardi, Zibaldone di pensieri. Nuova edizione tematica condotta sugli Indici leopardiani, a cura di F. Cacciapuoti, con un preludio di A. Prete, versione ePub, Milano, Feltrinelli, 2019: 14 novembre 1820, 324,4. Per i passi citati, adotto la numerazione degli Indici leopardiani. Per un’accurata disamina delle riflessioni sul vino contenute nello Zibaldone, cfr. G. Polizzi, Corporeità e natura in Leopardi, Milano-Udine, Mimesis, 2023, pp. 55-62.

9 G. Leopardi, Zibaldone, cit.: 5 luglio 1827, 4286,4.

10 Ivi: 26 agosto 1823, 3269,1.

11 Ibidem.

12 Ivi: 29 settembre 1823 (dì di S. Michele Arcangelo), 3552,2.

13 Ivi: 14 novembre 1823, 3881,4.

14 Ivi: 13 gennaio 1821, 496,2.

Il vigore e la natura – Il potere del vino in Giacomo Leopardi – di Alessandro Peroni

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