Il filosofo Ludwig Feuerbach afferma: “Noi siamo quello che mangiamo” questo significa che ciò che viene introdotto nel nostro organismo non influenza solo il corpo, ma anche ogni nostro processo energetico, spirituale e psicologico, ogni aspetto della nostra vita. E ancora Ippocrate, padre della medicina: “Fa che il cibo sia la tua medicina e che la medicina sia il tuo cibo” intendendo che utilizzare il cibo come medicina vuol dire essere responsabili, informarsi su cosa e quanto mangiare, non ignorare la sua funzionalità per avere una vita più sana e conoscere anche qual è il giusto equilibrio tra medicine e cibo.
Se ci pensiamo, vitto, che significa cibo, deriva dal latino victum che è il supino di vivere, il cibo quindi strettamente legato alla vita.
Questa premessa è doverosa per capire come da sempre è importante porre attenzione agli alimenti che utilizziamo ogni giorno. Il problema diventa ancora più pressante se parliamo di ragazzi e in particolare di adolescenti. Nei quarant’anni in cui ho lavorato nella scuola ho potuto notare le trasformazioni fisiche e psicologiche dei giovani in base alla loro alimentazione, in un periodo in cui tutto è in sobbuglio come l’adolescenza, quando il cibo diventa una delle misure del proprio essere, della propria autostima e, a volte, una autopunizione per un difficile rapporto con se stessi, con la famiglia, con la società.
Durante la mia adolescenza era forse più facile rapportarsi con il cibo perché vi erano alimenti più semplici, meno scelta di prodotti, meno conoscenza del superfluo, meno possibilità economiche e più consapevolezza che i genitori, usciti dalla guerra, cercavano di abituarci a non sprecare ciò che avevamo a tavola, ad accontentarci dell’essenziale, alimenti sani che oggi forse inseriremmo nella tanto pubblicizzata dieta mediterranea.
Nella società odierna è tutto cambiato, gli adolescenti hanno di fronte tutto e di più, ma spesso la quantità è a scapito della qualità e il bombardamento mediatico su cibi italiani e stranieri di tutti i tipi ubbidisce ad una logica di mercato e quasi mai alla visione di una dieta sana. La famiglia poi ha perso, anche nell’alimentazione, gran parte del suo ruolo e ad essa si sono sostituiti i modelli dei social, che presentano ai ragazzi una realtà sfolgorante, fatta di giovani belli, aitanti, in grande forma estetica, da imitare a costo di qualsiasi sacrificio. Appunto, qualsiasi sacrificio; ho visto a scuola ragazzi e ragazze dai 14 ai 19 anni, che non piacendosi esteticamente e ancor meno stimandosi come persone, hanno superato ogni limite nell’alimentazione, sfiorando o cadendo anche nell’anoressia o nella bulimia. Attualmente il Ministero della salute stima che vi siano in Italia circa tre milioni di giovani con problemi legati all’alimentazione, le femmine in una percentuale superiore rispetto ai maschi, anche se questi sono in aumento.
Come possiamo comprendere il fenomeno è importante ed esteso, molti insegnanti a scuola accorgendosi anche prima dei genitori dei cambiamenti dei giovani, cercano, sempre di loro volontà, di supplire a carenze ormai ataviche delle nostre istituzioni perché nelle aule scolastiche non si parla di educazione alimentare e dove vi sono dei tentativi mancano figure di riferimento come nutrizionisti, psicologi, e mancano risorse economiche.
Ho visto in classe ragazzi e ragazze cambiare repentinamente d’umore, essere svogliati e abulici, non mostrare interesse e non avere motivazione nello studio e soprattutto dimagrire o ingrassare rapidamente, sprofondando in un vicolo spesso senza uscita o con un’uscita molto stretta e faticosa.
Un osservatore esterno sarebbe stupito nel vedere cosa mangiano i ragazzi a scuola nell’intervallo: snacks ipercalorici, bevande colorate, gassate, energizzanti, panini imbottiti con salse varie e additivi di ogni tipo, merendine più che farcite, tutto quello che comunemente chiamiamo “cibo spazzatura”. Ricordo che nella mia scuola era stato installato un distributore di alimenti ritenuti
più sani dal punto di vista nutrizionale, con frutta fresca e secca, barrette proteiche ecc…, tuttavia non vedevo molti ragazzi avvicinarsi ad esso nell’intervallo, ma piuttosto consumare cibi portati da casa o non prendere nulla anche quando erano venuti a scuola senza aver fatto colazione.
Tutte queste abitudini poco sane sono lo specchio di come la nostra società non dia all’educazione alimentare dei giovani l’importanza che magari ha in altri contesti.
La foto di una ragazza o di un ragazzo anoressici o bulimici è quella di una persona che vede nel cibo un nemico della sua affermazione e rifiutandolo o abbuffandosi crede che potrà vincere la battaglia estetica e psicologica della vita. Non è così, naturalmente, ho visto giovani cadere e non riuscire più a rialzarsi, o altri che ce l’hanno fatta ma sono rimasti segnati per la vita.
I problemi dell’adolescenza, le tristi situazioni familiari, la paura di rimanere indietro in un mondo che esige sempre di più, il non piacersi esteticamente e il non aver fiducia in se stessi, l’assenza di stimoli e motivazioni vere, la sfiducia nel poter riuscire negli studi e nel lavoro, la mancanza di appoggi e sicurezze nel quotidiano, sono solo alcuni temi che inducono un ragazzo/a a rifiutare il cibo o a trovare in esso l’unico conforto e ad abusarne.
Cosa può fare un docente che si accorge del malessere del suo alunno? Ho provato spesso a dialogare con ragazzi che vedevo sulla strada di questi disturbi legati all’alimentazione, ma i miei discorsi cozzavano con le idee caparbie di chi vede nel rifiuto del cibo o nella sua ossessiva assunzione l’unica strada per mostrare alla società che esiste.
Comunque l’attenzione della famiglia e dei docenti nel capire i cambiamenti, anche piccoli, che avvengono negli atteggiamenti dei giovani può essere una prima spia di un malessere che poi trova nel cibo il proprio capro espiatorio. Certamente la società attuale non aiuta un adolescente a trovare un sicuro percorso di vita perché presenta troppe criticità, troppe ingiustizie, troppi contatti solo virtuali, troppi slogan che non si traducono in realtà. Si assiste a un progressiva apatia, a una assenza di reazioni positive da parte degli adolescenti che dovrebbero avere entusiasmo e stima per la vita e per il futuro. L’incertezza del dopo gli studi suscita anche molta ansia nei ragazzi che percepiscono le difficoltà di trovare un lavoro adeguato e di potersi costruire una famiglia in una società sempre più complicata e selettiva, ma non attraverso le capacità e le competenze delle persone, purtroppo in base a regole che spesso contrastano con gli ideali che magari la famiglia e la scuola hanno cercato di insegnare loro nel corso degli anni.
Questo disagio si manifesta spesso in un rapporto con il cibo molto conflittuale perché il cibo nutre, rende migliori, apre alla vita, ma il giovane vorrebbe quasi scomparire da questa vita, non vuole sentirsi bene fisicamente quando moralmente e psicologicamente si sente a terra.
Mi ricordo questa riflessione di un mio alunno di terza superiore che mi disse un giorno sull’argomento: “I giovani che per vari motivi in classe rifiutano il cibo per l’anima e per la mente e quindi non studiano, non si interessano alla scuola, sono spesso gli stessi che a casa rifiutano il cibo per il corpo, non desiderano alimentarsi perché purtroppo non vivono in una dimensione normale nel quotidiano, ma vogliono qualcosa che li stupisca, che dia loro emozioni forti, che li scuota nell’animo e nel corpo, come ascoltare musica estrema, ferirsi braccia e gambe, stordirsi con sostanze varie, sfidare il pericolo e fin anche la morte”.
Poi vi è un’altra visione del cibo, quella dei ragazzi che scelgono di lavorare nell’ambito alberghiero e che io ho visto quando ho insegnato all’istituto alberghiero di Ferrara. Sono giovani che nel preparare e nel gustare il cibo trovano la loro soddisfazione e vedono in essa la realizzazione dei loro sogni, la possibilità di lavorare in una attività redditizia, la gioia di preparare un piatto gustoso al palato e gradevole alla vista. l’alimentazione come strada per far emergere la loro creatività, per sentirsi utili, e anche per alcuni per riscattarsi da una situazione familiare complicata. Il cibo quindi come un’opportunità per dimostrare le proprie abilità e la propria voglia di vivere.
Io auspico che l’educazione alimentare sia introdotta nelle scuole fin dalle elementari come materia di studio e non lasciata all’iniziativa, se pur lodevole, o alla sensibilità di qualche insegnante.
In un mondo sempre più artificiale e virtuale, gli adolescenti, a mio avviso, devono essere attenti a non perdere l’interesse per le cose importanti per vivere come l’alimentazione che dovrebbe rispondere a tre semplici ma fondamentali principi: genuinità, nutrizione, piacere dei sensi.
A scuola per porre l’attenzione su questo tema ci viene in soccorso anche la letteratura perché il cibo è lo specchio dell’evoluzione dell’essere umano e della sua storia.
Massimo Molinari, docente di scienze dell’alimentazione, afferma: “Il cibo e la cucina sono delle grandi metafore dell’esistenza, quindi si prestano particolarmente bene a essere incluse in una narrazione dell’esistenza a rappresentarla in qualche modo”.
Mi ricordo un progetto interessante che avevamo proposto in un istituto professionale attraverso un percorso nella letteratura, nelle poesie e nei romanzi.
Esso prendeva in considerazione alcuni aspetti riferiti all’alimentazione come la differenza tra le classi sociali, dai banchetti abbondanti dei nobili al cibo modesto dei servi come ad esempio è descritto ne “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, oppure come la metafora usata dai poeti, fra tutti Giovanni Pascoli, che in alcune poesie paragona l’esistenza umana ad un banchetto.
Un’altra funzione del cibo nella letteratura è quella di suscitare il ricordo di momenti passati legati per esempio al gusto, ai profumi come in “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust dove inzuppare una madeleine in un infuso di tiglio riporta l’autore ai ricordi dell’infanzia.
Il cibo sottolinea anche eventi storici come ne “I Promessi sposi“ di Manzoni ove carestia e fame condizionano tutta l’economia della società.
Il cibo è anche convivialità, capacità di riunirsi intorno a una tavola per discutere di temi importanti, oppure semplicemente per godere della compagnia degli amici, anziché rinchiudersi nella propria stanza davanti a un computer. Mangiare in compagnia emerge da molte poesie, anche dialettali, di autori che sottolineano, a volte con ironia, l’importanza dell’alimentazione. Trilussa, Fabrizi, Neruda (famosa l’ode al carciofo), De Filippo, Rodari che con le sue filastrocche accomuna il mondo dei bambini a quello degli adulti in fantastici giochi sull’alimentazione.
Il cibo certamente nel mondo moderno ha assunto una configurazione mondiale; nonostante i tempi cambiati tutte le culture sostengono la tesi che il rapporto tra il cibo e l’uomo è essenziale e senza tempo. Cerchiamo di aiutare i giovani ad alimentarsi in modo sano e a non cadere in quei disturbi che poi ne pregiudicano la crescita e la vita stessa.

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Gli adolescenti e il cibo – di Paola Gagni

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